Negli ultimi mesi, nonostante la poca visibilità mediatica, lavoratrici e lavoratori dei servizi esternalizzati della cultura hanno scioperato in più occasioni. In quasi ogni regione (soprattutto Lazio, Campania e Lombardia) sono state organizzate manifestazioni che hanno sottolineato due aspetti: la spaccatura tra le diverse condizioni di lavoro anche nello stesso luogo – tra chi è dipendente del ministero e chi è esternale – e l’interruzione di servizio alla cittadinanza a causa della cronica mancanza di personale. Questa situazione non riguarda solo l’accesso a una mostra di grido nel centro di Milano o di Roma, ma tutta la penisola: archivi, teatri, musei, siti archeologici, parchi naturali. Come per quanto riguarda gli scioperi per il clima e dei trasporti, il disagio dell’utenza viene appaltato solo ed esclusivamente al personale scioperante, e non al sistema di circolo che costringe le persone a vivere in sistemi iperprecarizzati e con salari da fame.
Nel caso dello sciopero dei dipendenti del Colosseo di qualche anno fa, si è attribuita alla direzione l’incapacità di prevedere scioperi e riunioni del personale, lasciando scoperto il turno di cassa. L’idea stessa che le persone lavoratrici possano interrompere la loro mansione, e quindi non accontentare i turisti paganti, è letteralmente lunare per i ministri della Cultura, che hanno invece oculatamente partecipato allo strozzo del sistema: interrompere il servizio per qualche ora è per loro un vero e proprio reato di lesa maestà.
Le ultime, solo in ordine di tempo, sono state le persone alle dipendenze del museo del Novecento (Milano, Piazza Duomo) assunte come personale esternalizzato, e le cosiddette maschere del teatro La Scala (Milano, piazza della Scala), con la conseguente agitazione del sindaco Sala e del direttore del teatro per il rischio che la prima della Scala possa saltare. Due mondi diversi, stesse rivendicazioni: salari troppo bassi, precarizzazione, sclerotizzazione della vita lavorativa in contesti che, se non sono di diretta dipendenza del Ministero della Cultura, hanno un’oculata inserzione di privato che avrebbe dovuto migliorare le cose, e dove si sta attuando un sincretismo tra lavoratrici e lavoratori. Coloro che hanno più tutele manifestano, come è successo quest’estate sempre a Milano davanti a un muto Palazzo Marino, anche a nome di chi non ne ha e non se la sente di scendere a manifestare perché teme ripercussioni sul posto di lavoro.
Ripercussioni sul probabile rinnovo. Per scendere a manifestare e scioperare. Probabile rinnovo.
Perché succede questo? Perché il Ministero della Cultura, da anni, per tamponare la cronica mancanza di investimenti e assunzioni, permette si deleghi a bandi di gara con il principio del massimo ribasso: una pratica che permette a cooperative di partecipare promettendo un costo enormemente più basso di quello che spenderebbe il Ministero a fronte dell’erogazione dello stesso servizio. Il meccanismo ormai è ben noto nelle gare di appalto in edilizia, soprattutto per la tendenza poi alla spesa a gonfiarsi fino alla decuplicazione delle spese, meno in contesti culturali poiché tecnicamente esiste una forma contrattuale da applicare (il famoso federculture), ma che spesso viene ignorato a favore di vergognosi contratti come l’ormai celeberrimo Vigilanza privata e servizi fiduciari, che non è indecente solo per i musei, è indecente, punto, pensare che una persona adulta possa cavarsela con € 4/ ora.
Altre situazioni? Nel bacino dei mestieri culturali c’è l’imbarazzo della scelta e delle combinazioni di disagio possibili. Musei, siti archeologici, parchi naturali, (il ministero della cultura dovrebbe tutelare il paesaggio. Dovrebbe), archivi, biblioteche, pinacoteche, teatri, giusto per parlare dei patrimonio passato da tutelare, comunicare, conservare. Editoria, arti performative, grafiche, ricerca, arti plastiche, arti decorative, cinema: la loro produzione, comunicazione e fruizione. Le guide turistiche, gli insegnanti.
A questo, anziché applicare i contratti già in essere, o il federculture, si ha un ventaglio di scelte degradanti: stagismo, servizio civile, vigilanza privata, voucher, alternanza scuola lavoro, co.co.co., finte p.iva, ritenute d’acconto, a chiamata, abuso di volontariato – e non tutti gratis. La situazione non cambia nemmeno nel panorama delle professionalità indipendenti, che devono misurarsi con pagamenti a 90 giorni da inseguire, costrizione ad aprire partite iva precoci, ghosting, mancanza del rispetto dei minimi contrattuali già pattuiti.
Un esempio lampante di questo sistema è dato dall’esperienza delle lavoratrici e dei lavoratori esterni dei siti archeologici della Valle Camonica, che da anni stanno tentando una strenua difesa del loro lavoro.
LA VALLE CAMONICA
I graffiti rupestri preistorici della Valle Camonica sono stati il primo sito UNESCO nominato in Italia nel 1979.
Questa nomina all’epoca destò scalpore e scandalo, poiché il primo sito italiano individuato non era né magnogreco né di civiltà romana, ma anonime incisioni incastonate nelle Alpi a opera di una successione di popolazioni che, alla fine, diedero parecchia battaglia a Roma stessa: la Valle Camonica fu “pacificata” pochi decenni dopo che Cesare sbarcò in Britannia.
Se si gridasse però con metà di questa verve allo scandalo perché le persone che lavorano in questi siti hanno una situazione lavorativa precaria, metà dei problemi forse sarebbero già risolti.
Questo accade per una situazione particolare del sistema in Lombardia, dove vi è necessità di personale esterno a quello direttamente assunto per permettere al sito, museo, parco di restare aperto. Si tratta specificatamente delle mansioni di accoglienza e vigilanza, e per cui il contratto federculture è quello indicato per tutti i servizi pubblici esterni dei settori di cultura, turismo, sport e tempo libero.
Il livello più basso del federculture sarebbe di € 8,62 lordi.
Il vigilanza privata e servizi fiduciari, come detto, è la metà circa.
Ci sono persone che lavorano nei musei e nei parchi archeologici italiani che percepiscono tra i 3 e i 5 euro l’ora: sono le persone all’accoglienza, in cassa, nel bookshop, nelle sale e per l’area in sorveglianza, distribuzione audioguide /radio /visori, pulizie, punto informazione, guardaroba, didattica, guida, custodia, customer care. Ogni persona che incontrate, nei siti culturali, che non è comunale o ministeriale, è potenzialmente una persona sottopagata, precaria, ricattata in un sistema che delega alle cooperative e ad aziende private o peggio: il ricorso al volontariato. Pochi mesi fa infatti anche il comune di Milano ha emanato un bando per la ricerca per mansioni museali a titolo gratuito, poi modificato inseguito a proteste.
Il ricorso a personale esterno, proprio perché il ministero non provvede a investimenti e assunzioni adeguate, diventa quindi sempre più necessario per tappare le varie esigenze a causa della mancanza cronica di personale, poiché la struttura deve comunque essere aperta ed efficiente. Ma come funziona questo sistema, soprattutto nel caso della Lombardia e della storia della Valle Camonica?
Le cooperative partecipano ai bandi rinnovanti emanati dal ministero stesso; queste partecipazioni sono del tutto anonime e in busta chiusa.
La struttura sceglie, tra le proposte, quella che esibisce l’offerta più vantaggiosa: per questo il massimo ribasso è considerato un ottimo strumento, a fronte dell’incapacità reale poi di fornire davvero il servizio promesso. Promettere che avrai tutti i turni coperti pagando le persone 3 euro prima o poi ti porta a scontrarti con la realtà che non sarà possibile. Inoltre, la mancanza cronica di personale statale rende necessaria la presenza del personale esterno.
Nel caso specifico della Lombardia, l’ente di riferimento è la Direzione Regionale Musei Lombardia. In Valle Camonica le realtà sono tre:
- Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri (località Naquane, Capo di Ponte).
- Museo Nazionale delle Preistoria della Valle Camonica (MuPre) (Capo di Ponte).
- Museo Archeologico Nazionale della Valle Camonica (Cividate Camuno).
In questi tre siti, da otto anni, le persone sono lavoratori esterni. Alcuni di questi sono a tempo indeterminato, ma solo perché le cooperative hanno l’obbligo di assorbirli.
All’inizio la situazione contrattualistica era del tutto inadeguata, come il famigerato vigilanza privata e servizi fiduciari (pensato per servizi di portineria, comunque una paga da fame). Inadeguata sia nella forma – come detto, si dovrebbe applicare il Federculture – che nella sostanza poiché il lordo è di € 5,37/Ora.
Nel 2022 la ditta vincitrice dell’appalto per le realtà culturali in esame della Val Camonica è risultata la COSMOPOL di Avellino, con un ribasso del 33% sulla base d’asta. La ditta stessa ha inoltre insistito perché fosse firmato un contratto peggiore del precedente in una situazione disagevole.
Le lavoratrici e i lavoratori hanno inaugurato una complessa e impegnativa contrattazione sindacale, che ha portato anche alla chiusura dei siti, ma ha ottenuto un piccolo aumento della retribuzione oraria (salendo a € 6,25/ora), ma lasciando invariato l’inquadramento.
Se Cosmopol suona familiare, è perché è la stessa che in agosto ’23 è stata commissariata dal GIP di Milano per ipotesi di caporalato e stipendi sotto la soglia di povertà nell’applicazione della vigilanza privata.
Questa situazione sarebbe già straordinariamente assurda in regime di libera impresa, ma bisogna considerare il perimetro ministeriale in cui ci si muove: lo Stato e la cultura, che sclerotizza la precarizzazione e le situazioni lavorative poiché non sono cronicamente in grado di programmare stagionalmente i turni. Viaggiano a braccio da una settimana all’altra, senza nessuna comunicazione e agendo con scaricabarile tra l’ente e l’azienda, in un momento in cui i beni culturali ormai contano sempre più sui servizi esterni. Questa improvvisa mancanza di programmazione è piuttosto assurda, se si considera che non stiamo parlando di un’azienda che deve far quadrare i conti, ma soprattutto che i siti culturali non hanno aperto ieri e che la missione è, appunto, essere aperti tutti i giorni dell’anno, con o senza pubblico. Non “saper programmare” non è accettabile per un’azienda privata, che sarebbe destinata alla chiusura, né dallo Stato, poiché deve garantire il servizio.
Di contro, in questi anni in cui lavoratrici e lavoratori hanno alzato la testa e si sono organizzati, da ottobre di quest’anno la direzione ha deciso di chiudere, senza comunicazione alcuna a dipendenti e alla cittadinanza, i siti nel pomeriggio. Le chiusure pomeridiane privano di netto di turni interi di lavoro i dipendenti, oltre a diminuire drasticamente gli orari di fruizione al pubblico: un parco che in autunno chiude alle 14 si rende di fatto infrequentabile.
Da questa esperienza è nato il Collettivo 5,37, che riunisce dipendenti, attivisti e persone comuni interessate al tema, aperto a riflessioni. Dal collettivo stesso è nata anche una mostra fotografica.
Il personale esterno dei siti archeologici della Valle Camonica ha delle richieste:
- Occorre che nel prossimo capitolato la Direzione Regionale Musei Lombardia inserisca il Federculture come contratto di riferimento;
- Che si preveda una programmazione dei turni annuali o semestrali per poter dare stabilità a quanti lavoratori sono da anni impegnati nel garantire l’apertura dei siti.
- L’obiettivo finale resta l’internalizzazione: sono anni che queste persone lavorano sotto la soglia dei € 6/ora, persone già formate che manutengono un sito culturale affidato allo Stato nelle sue emanazioni. Il personale interno sta diventando sempre più carente numericamente parlando. Obiettivi assolutamente condivisibili per ogni persona che è impiegata all’interno di un sito culturale in maniera precaria e traballante.
Continua…