Il nuovo articolo 67, ovvero della fine della rappresentanza

La sta­gio­ne isti­tu­zio­na­le che stia­mo viven­do da anni, e di cui ades­so si deli­nea­no meglio i con­tor­ni, è carat­te­riz­za­ta da una for­te muta­zio­ne mate­ria­le del­la for­ma di gover­no del­la nostra Repub­bli­ca. Que­sta è sem­pre meno “par­la­men­ta­re” e sem­pre più “gover­ni­sti­ca”, in cui chi detie­ne il pote­re ese­cu­ti­vo ha il domi­nio asso­lu­to del­la sce­na poli­ti­ca, men­tre quan­ti rap­pre­sen­ta­no il pote­re legi­sla­ti­vo (il giu­di­zia­rio appa­re sal­vo, fino­ra) non pos­so­no far altro che vota­re quel­lo che i gover­nan­ti chie­do­no, o sareb­be meglio dire, impongono.

La “que­stio­ne di fidu­cia” sul­la leg­ge elet­to­ra­le è solo l’ultimo, in ordi­ne tem­po­ra­le, quand’anche il più emer­gen­te, pio­lo di una sca­la che da tem­po s’è pre­so a discen­de­re. Nei fat­ti, col richia­mo del pre­si­den­te del Con­si­glio alla scel­ta fra la leg­ge elet­to­ra­le e la fine del Gover­no, quel­la que­stio­ne è già sta­ta posta ai par­la­men­ta­ri di mag­gio­ran­za, anche se, for­mal­men­te, così anco­ra non è. Ren­zi, con il suo aut-aut, espo­ne nei ter­mi­ni che gli sono usua­li la situa­zio­ne: o il Par­la­men­to fa quel­lo che io chie­do, o io me ne vado. E con lui, novel­lo San­so­ne, crol­li ogni colon­na del tem­pio e peri­sca­no pure tut­ti i fili­stei. Poi, alle ele­zio­ni, vedre­mo dove sta la verità.

È un po’ l’invocazione del giu­di­zio del popo­lo fat­ta spes­so dal più isti­tu­zio­nal­men­te lon­ge­vo dei suoi pre­de­ces­so­ri in epo­ca repub­bli­ca­na, la stes­sa che la sini­stra con­te­sta­va, accu­san­do­la di spo­sta­re le rela­zio­ni del­la demo­cra­zia sul bina­rio obbli­ga­to di un refe­ren­dum, costan­te e con­ti­nuo, sul­la sua per­so­na dive­nu­ta uni­co cen­tro del­la politica.

NAPOLITANO HA GIURATO

Ma c’è di più nel­le pie­ghe del­le rifor­me che il Par­la­men­to sta licen­zian­do. L’Ita­li­cum, per il gros­so pre­mio che con­tie­ne, per l’indicazione dei capi­li­sta bloc­ca­ti e soprat­tut­to per il dop­pio tur­no nazio­na­le, si pre­sen­ta come un siste­ma in cui a esse­re scel­to è il capo di un gover­no, non dei par­la­men­ta­ri. La rifor­ma del­la Costi­tu­zio­ne già appro­va­ta in pri­ma let­tu­ra dal­le due Came­re (al net­to del­le dif­fe­ren­ze all’articolo 57 fra i due testi, e tenen­do pre­sen­te che “nei” e “dai” non è esat­ta­men­te la stes­sa cosa), con­tie­ne pro­ba­bil­men­te uno dei pas­sag­gi miglio­ri di que­sto cam­bia­men­to, de fac­to e in un cer­to sen­so, trat­tan­do­si di nor­ma fon­dan­te dell’assetto isti­tu­zio­na­le, anche de jure, del­la for­ma di governo.

L’articolo 67 del­la Car­ta in vigo­re reci­ta: “Ogni mem­bro del Par­la­men­to rap­pre­sen­ta la Nazio­ne ed eser­ci­ta le sue fun­zio­ni sen­za vin­co­lo di man­da­to”. Il novel­la­to e dispo­sto dai moder­ni ri-costi­tuen­ti dice: “I mem­bri del Par­la­men­to eser­ci­ta­no le loro fun­zio­ni sen­za vin­co­lo di man­da­to”. Quel “rap­pre­sen­ta” non c’è più. Este­so alla Nazio­ne inte­ra, lo si tro­va per i soli depu­ta­ti all’articolo 55, men­tre per i sena­to­ri è ridot­to alla rap­pre­sen­tan­za del­le sole isti­tu­zio­ni che ter­ri­to­ria­li, pro­ba­bil­men­te ognu­no la pro­pria, ma a que­sto pun­to non è chia­ro chi o cosa rap­pre­sen­te­reb­be­ro i sena­to­ri di nomi­na pre­si­den­zia­le, dato che stan­no fra quel­li che rap­pre­sen­ta­no i ter­ri­to­ri ma ven­go­no scel­ti da chi pre­sie­de all’unità nazionale.

Con la limi­ta­zio­ne del­la rap­pre­sen­tan­za attua­ta nel­la sostan­za, median­te il ricor­so a voti di fidu­cia e decre­ti gover­na­ti­vi, e per­se­gui­ta ora anche nel­la for­ma, attra­ver­so la ridu­zio­ne e la par­cel­liz­za­zio­ne del­la sua appli­ca­bi­li­tà, però, è leci­to sup­por­re che vada in cri­si, quan­do non ven­ga addi­rit­tu­ra mes­so del tut­to in discus­sio­ne, l’intero impian­to rap­pre­sen­ta­ti­vo del nostro siste­ma democratico.

Se nel­la Costi­tu­zio­ne figlia del­la Resi­sten­za il cen­tro del­la Repub­bli­ca dive­ni­va la rap­pre­sen­tan­za del­le sue diver­se par­ti e clas­si, in que­sta nuo­va ver­sio­ne frut­to del­la resa alle dina­mi­che e ai det­ta­mi del­la “gover­na­men­ta­li­tà”, per dir­la alla Fou­cault, il prin­ci­pio e la fine dell’appartato sta­tua­le divie­ne la gover­na­bi­li­tà. Lì, il con­trol­lo del pote­re era cen­tra­le; qui, il Gover­no diven­ta il pro­ta­go­ni­sta ab solu­tus del­la sce­na e del cam­po poli­ti­co, e quei con­trol­li un impe­di­men­to e un bloc­co ille­git­ti­mo del­la sua pre­ro­ga­ti­va e del pro­prio dirit­to a deci­de­re sen­za intral­ci con­fe­ri­ti­gli dal­la mag­gio­ran­za, anche se essa altro non è che la più nume­ro­sa del­le mino­ran­za, dive­nu­ta pre­do­mi­nan­te e nume­ri­ca­men­te pre­va­len­te per gli effet­ti di un “pre­mio” elettorale.

Non male come tra­sfor­ma­zio­ne, nel set­tan­te­si­mo del 25 aprile.

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