Il Paese che piantava gli alberi (e quello che li tagliava)

La deforestazione e la perdita delle foreste sono l’esempio perfetto del fatto che tutto si tiene, tutto è collegato e, quando si parla di clima, lo è ancora di più. Le cause stanno nello sfruttamento diretto delle risorse, ma anche nella siccità e nelle temperature elevate, così come nei fenomeni estremi come gli uragani, sempre più frequenti a causa della crisi climatica.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Quat­tro miliar­di di albe­ri entro l’autunno per con­tra­sta­re la defo­re­sta­zio­ne e il riscal­da­men­to glo­ba­le. 

Ecco cosa pre­ve­de la cam­pa­gna di Abiy Ahmed, pri­mo mini­stro dell’Etiopia. Ha fat­to par­ti­co­lar­men­te noti­zia il record di 350 milio­ni di albe­ri pian­ta­ti in un solo gior­no, gra­zie allo sfor­zo di tut­te e tut­ti: mol­te scuo­le e uffi­ci sono rima­sti chiu­si per per­met­te­re la mas­si­ma par­te­ci­pa­zio­ne al pro­get­to Green Lega­cy

Negli scor­si decen­ni, l’Etiopia ha con­su­ma­to le sue fore­ste nel­la ricer­ca di ter­ri­to­ri da desti­na­re all’agricoltura: un com­por­ta­men­to che met­te ora a rischio la soprav­vi­ven­za di quel­la stes­sa popo­la­zio­ne che per l’80% si sostie­ne gra­zie alle col­ti­va­zio­ni che sono  all’origine del­la defo­re­sta­zio­ne. Per evi­ta­re la deser­ti­fi­ca­zio­ne e l’aumento del­le tem­pe­ra­tu­re, il gover­no ha lan­cia­to que­sta inver­sio­ne di ten­den­za a col­pi di pian­ti­ne e rimboschimento. 

È un allar­me che dovreb­be tro­va­re tut­ti ricet­ti­vi, visto che non man­ca­no dati e pro­ie­zio­ni deva­stan­ti: l’Etiopia era uno dei casi stu­dio nel report pub­bli­ca­to nel 2018 dal­la World Bank, secon­do cui nel 2050 il cam­bia­men­to cli­ma­ti­co pro­vo­che­rà la migra­zio­ne inter­na di 143 milio­ni di per­so­ne (sol­tan­to in Afri­ca sub­sa­ha­ria­na, Asia meri­dio­na­le e Ame­ri­ca Lati­na). Aven­do visto come alcu­ne del­le pre­vi­sio­ni rela­ti­ve al cli­ma fat­te per il 2050 han­no avu­to una dra­sti­ca acce­le­ra­zio­ne, abbia­mo anco­ra meno tem­po per agi­re, e pian­ta­re albe­ri è una del­le solu­zio­ni, se fat­to su ampia scala. 

Quan­to ampia? Quan­to la super­fi­cie degli Sta­ti Uni­ti d’America, ha cal­co­la­to lo stu­dio “The glo­bal tree resto­ra­tion poten­tial”, pub­bli­ca­to pro­prio pochi gior­ni fa, all’inizio di luglio. E dove tro­va­re que­sto poten­zia­le? Le aree più adat­te sareb­be­ro Rus­sia, Usa, Cana­da, Austra­lia, Cina (che sta lavo­ran­do ala­cre­men­te in que­sto sen­so) e il Brasile. 

Ma il Bra­si­le è una nota dolen­te. Non l’unica, ma tra le più sto­na­te. Per­ché il Bra­si­le è il pae­se su cui insi­ste la mag­gior par­te del­la super­fi­cie del­la fore­sta Amaz­zo­ni­ca. E per­ché in Bra­si­le è pre­si­den­te Jail Bol­so­na­ro, un poli­ti­co omo­fo­bo, miso­gi­no, mili­ta­ri­sta, xeno­fo­bo, che ha affian­ca­to alla svol­ta repres­si­va nei con­fron­ti del­le mino­ran­ze del pae­se una poli­ti­ca di “sfrut­ta­men­to ragio­ne­vo­le” del­la fore­sta. Qua­le sia il metro del­la ragio­ne­vo­lez­za di Bol­so­na­ro sta nei dati dell’Istituto nazio­na­le di Ricer­che Spa­zia­li, che ha cal­co­la­to come dall’inizio del 2019 sia­no sta­ti per­si 3700 km² di fore­sta Amaz­zo­ni­ca, il dop­pio rispet­to all’anno scor­so. Non che dagli anni scor­si arri­vas­se­ro buo­ne noti­zie: il Glo­bal Fore­st Watch cal­co­la che nel 2018 abbia­mo per­so una super­fi­cie di fore­sta tro­pi­ca­le gran­de come l’Inghilterra, con sem­pre il Bra­si­le a gui­da­re que­sta clas­si­fi­ca di demerito. 

La defo­re­sta­zio­ne e la per­di­ta del­le fore­ste sono l’esempio per­fet­to del fat­to che tut­to si tie­ne, tut­to è col­le­ga­to e, quan­do si par­la di cli­ma, lo è anco­ra di più. Le cau­se stan­no nel­lo sfrut­ta­men­to diret­to del­le risor­se, ma anche nel­la sic­ci­tà e nel­le tem­pe­ra­tu­re ele­va­te, così come nei feno­me­ni estre­mi come gli ura­ga­ni, sem­pre più fre­quen­ti a cau­sa del­la cri­si cli­ma­ti­ca. E, allo stes­so tem­po, meno albe­ri signi­fi­ca tem­pe­ra­tu­re più alte, fra­ne, avan­za­men­to del­la deser­ti­fi­ca­zio­ne. Nel caso non fos­se chia­ro, non stia­mo più par­lan­do dell’Etiopia (o non solo). Pro­prio in que­sti gior­ni stan­no bru­cian­do più di tre milio­ni di etta­ri di fore­ste in Sibe­ria, repli­can­do que­sto cir­co­lo vizioso. 

Ma stia­mo par­lan­do anche di quel­lo che acca­de mol­to più vici­no a noi. Anche se quan­do il feno­me­no è glo­ba­le, quan­do la casa è in fiam­me, non ha mol­to sen­so di par­la­re di “a casa loro” e “a casa nostra”, come mol­ti ama­no fare per svia­re l’attenzione dall’emergenza vera, sta suc­ce­den­do anche qui. Un quin­to dell’Italia è a rischio deser­ti­fi­ca­zio­ne. Nell’autunno del 2018, 14 milio­ni di albe­ri sono sta­ti abbat­tu­ti sul­le Dolo­mi­ti, tra cui gli abe­ti del­la “Fore­sta dei Vio­li­ni” in Val di Fiem­me. Il Cer­vi­no si sta sgre­to­lan­do per via del­lo scio­gli­men­to del permafrost.

Di que­sto abbia­mo trat­ta­to a Seni­gal­lia, al Poli­ti­camp di Pos­si­bi­le, con la nostra #Green­School. Di que­sto trat­ta­no i set­te pun­ti che vi pro­po­nia­mo di con­di­vi­de­re per­ché è neces­sa­rio ripen­sa­re pro­fon­da­men­te il nostro siste­ma pro­dut­ti­vo e socia­le, smon­tan­do dal­le fon­da­men­ta il model­lo di socie­tà dise­gua­le e ingiu­sto che ci sta por­tan­do all’estinzione. Per­ché tra chi gli albe­ri li pian­ta e chi inve­ce gli taglia, non abbia­mo dub­bi su chi stia lavo­ran­do a un futu­ro possibile. 

Ridi­scen­den­do al vil­lag­gio, vidi scor­re­re dell’acqua in ruscel­li che, a memo­ria d’uomo, era­no sem­pre sta­ti sec­chi. Era la più straor­di­na­ria for­ma di rea­zio­ne che abbia mai avu­to modo di vede­re […] Era ormai un posto dove si ave­va voglia di abitare. 

L’uomo che pian­ta­va gli albe­ri, Jean Giono

 [/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

AIUTACI a scrivere altri articoli come quello che hai appena letto con una donazione e con il 2x1000 nella dichiarazione dei redditi aggiungendo il codice S36 nell'apposito riquadro dedicato ai partiti politici.

Se ancora non la ricevi, puoi registrarti alla nostra newsletter.
Partecipa anche tu!

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Congresso 2024: regolamento congressuale

Il con­gres­so 2024 di Pos­si­bi­le si apre oggi 5 apri­le: dif­fon­dia­mo in alle­ga­to il rego­la­men­to con­gres­sua­le ela­bo­ra­to dal Comi­ta­to Organizzativo.

Il salario. Minimo, indispensabile. Una proposta di legge possibile.

Già nel 2018 Pos­si­bi­le ha pre­sen­ta­to una pro­po­sta di leg­ge sul sala­rio mini­mo. In quel­la pro­po­sta, l’introduzione di un sala­rio mini­mo lega­le, che rico­no­sces­se ai mini­mi tabel­la­ri un valo­re lega­le erga omnes quan­do que­sti fos­se­ro al di sopra del­la soglia sta­bi­li­ta, for­ni­va una inno­va­ti­va inter­pre­ta­zio­ne del­lo stru­men­to, sino a quel tem­po bloc­ca­to dal timo­re di ero­de­re pote­re con­trat­tua­le ai sin­da­ca­ti. Il testo del 2018 è sta­to riscrit­to e miglio­ra­to in alcu­ni dispo­si­ti­vi ed è pron­to per diven­ta­re una pro­po­sta di leg­ge di ini­zia­ti­va popolare.

500.000 firme per la cannabis: la politica si è piantata? Noi siamo per piantarla e mobilitarci.

500.000 fir­me per toglie­re risor­se e giro d’affari alle mafie, per garan­ti­re la qua­li­tà e la sicu­rez­za di cosa vie­ne ven­du­to e con­su­ma­to, per met­te­re la paro­la fine a una cri­mi­na­liz­za­zio­ne e a un proi­bi­zio­ni­smo che non han­no por­ta­to a nes­sun risul­ta­to. La can­na­bis non è una que­stio­ne secon­da­ria o risi­bi­le, ma un tema serio che riguar­da milio­ni di italiani.

Possibile per il Referendum sulla Cannabis

La can­na­bis riguar­da 5 milio­ni di con­su­ma­to­ri, secon­do alcu­ni addi­rit­tu­ra 6, mol­ti dei qua­li sono con­su­ma­to­ri di lun­go cor­so che ne fan­no un uso mol­to con­sa­pe­vo­le, non peri­co­lo­so per la società.
Pre­pa­ra­te lo SPID! Sarà una cam­pa­gna bre­vis­si­ma, dif­fi­ci­le, per cui ser­vi­rà tut­to il vostro aiu­to. Ma si può fare. Ed è giu­sto provarci.

Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

I padroni dicono di no a tutto. E per questo scioperiamo.

La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.