«Ho una linea molto semplice: abbiamo uno Statuto che prevede un’impostazione conseguente delle regole congressuali. Non c’è motivo di cambiarle in corsa». 27 luglio, Livorno. Ci sono davvero tante persone alla Festa Democratica, accorse per ascoltare il candidato monzese. L’invito, di fronte allo spettacolo che il Partito Democratico sta offrendo, è a non parlare di regole congressuali, soprattutto se l’approccio è troppo interessato. Teniamo presente solo un elemento, e cioè che «siamo un grande partito, in un momento difficile della sua storia. Dobbiamo perciò favorire la partecipazione del maggior numero di persone. Una partecipazione vera e informata».
E non fermiamoci qui, non fermiamoci al Congresso, perché «il problema è capire qual è la nostra base elettorale, per poi costruire con essa una partecipazione durante la stagione non congressuale, tra un congresso e l’altro.
Invece che mortificare sia elettori che militanti, come abbiamo fatto in questi anni dobbiamo «fare in modo che questo diventi un partito in cui si decide assieme a chi è iscritto», e che questo metodo diventi consuetudinario, interpellando la nostra base nei momenti più critici, in cui la scelta è tutta politica, «come quando siamo stati chiamati a decidere sugli F35 o sulla Costituzione». Un partito organizzatissimo, perciò, che trova nei circoli il suo snodo principale. Quegli stessi circoli di cui troppo spesso ci siamo dimenticati, e che invece vanno riportati al centro della discussione e del meccanismo decisionale, mettendo a loro disposizione «risorse e strumenti per informarsi e per decidere».