Noi vogliamo cambiare il Partito Democratico. È una strada lunga, difficile, impervia, impopolare. Ma vogliamo farlo. Vogliamo farlo perché è nei momenti difficili che si capisce l’entità della sfida. Come oggi con il caso della mozione di sfiducia per il ministro Cancellieri. Le reazioni sono molto vibranti. E accese. Accusano Giuseppe Civati di essersi adeguato, di essersi accomodato, di aver seguito il gregge. Non è così.
Prima di tutto perché il suo no alla mozione di sfiducia del Movimento 5 Stelle è stato motivato come un no a un documento imperfetto e che avrebbe fatto passare un altro messaggio che non la “semplice” sfiducia a un ministro. Poi, perché la famosa mozione di sfiducia presentata da Civati non è stata ritirata, ma non è passata al vaglio del gruppo parlamentare del PD. C’era bisogno di 63 firme per portare il documento alla Camera. Civati ne ha raccolte 15.
Perché non l’ha presentata comunque con i supporti esterni, si legge? Perché la battaglia è quella di cambiare il PD. Civati non vuole sfiduciare il ministro Cancellieri in quanto Civati, ma vuole che il Partito Democratico presenti una mozione di sfiducia al ministro Cancellieri in quanto partito che dovrebbe tenere alto il livello del dibattito e alto il livello dello spirito critico.
Il non voto al Governo Letta nasceva dalla mancanza di dibattito. In questo, invece, la discussione c’è stata. È passata un’altra linea nonostante si fosse dichiarato diversamente (chi voleva valutare le dimissioni, e altri che invece avevano addirittura dichiarato disponibilità a firmare il documento di Civati). Ma una cosa deve essere chiara. Non sarebbe stato il documento di Giuseppe Civati ma il documento del Partito Democratico.
Se Civati corre per la segreteria del Partito Democratico corre per voler cambiare il Partito Democratico. Un partito di cui fa parte, e un gruppo parlamentare di cui fa parte in cui esiste (dovrebbe esistere) una discussione con una decisione presa in maggioranza. È politica. E la politica non si fa sui personalismi. Andare a cercare le firme delle varie opposizioni sarebbe stato, in questo caso, eccesso di personalismo. Non era questo il punto. Il punto era far passare una linea comune e condivisa in un partito di centrosinistra.
Noi vogliamo cambiare il Partito Democratico. E farlo rispettando le regole. Rispettando il gruppo parlamentare. Giuseppe Civati ha posto democraticamente la sua posizione all’esame del gruppo. La sua posizione non è passata. Non è diventata linea del gruppo parlamentare. Ma la battaglia per rendere il PD un luogo aperto, disponibile, dialogico per davvero – quel partito delle possibilità che speriamo possa diventare un giorno – va combattuta al suo interno e seguendo le regole.
Quando un partito prende una posizione, se concordata e votata a maggioranza, prende una posizione. Il problema è fare in modo che le posizioni siano le nostre. Quelle in cui crediamo e che condividiamo. E che rispondano a logiche di trasparenza e onestà. Il Partito Democratico va cambiato, non distrutto. E per cambiarlo bisogna correre con lui: l’appuntamento è l’8 dicembre.