Un rapporto del Comitato per la legislazione indica che nella legislatura in corso il Parlamento è stato impegnato soprattutto a convertire decreti legge del Governo.
39 le leggi di conversione al 30 settembre. Ma con ottobre siamo a 40. Su un totale – pare – di 83. Praticamente la metà di tutta la attività legislativa.
E la tendenza a utilizzare i decreti legge – che la Costituzione consente solo in casi straordinari di necessità e urgenza – aumenta con il Governo Renzi che batte la media dei propri immediati predecessori che avevano stabilito a loro volta un record.
Dallo stesso rapporto, infatti, risulta che se il secondo Governo Prodi e il quarto Governo Berlusconi tenevano una media, rispettivamente, di 1,99 e 1,89 decreti legge al mese (che è già moltissimo, naturalmente, perché non possono esserci due casi straordinari di necessità e urgenza ogni mese), con il Governo Monti questa media si impenna a 2,66 per scendere a 2,55 con il Governo Letta e risalire addirittura a 2,76 con il Governo Renzi (che fronteggia – a stretto rigore – ogni mese quasi tre casi straordinari di necessità e urgenza, che forse a quel punto straordinari non sono più).
Per di più su queste leggi di conversione il Governo ha posto spesso la fiducia: 16 volte alla Camera e 8 volte al Senato. Anche da questo punto di vista è stato soprattutto il Governo Renzi a farvi ricorso. Mentre Letta risulta avere chiesto la fiducia su 6 leggi di conversione alla Camera (e mai al Senato), Renzi l’ha chiesta 10 volte alla Camera (su 9 leggi di conversione, avendovi fatto ricorso in entrambe le letture – quella iniziale e quella successiva al passaggio in Senato – nel convertire il d.l. 90 del 2014, sulla riforma della PA) e 8 al Senato.
Così anche in sede di conversione il Parlamento si trova ingabbiato nella discussione e nella votazione (proprio come è recentemente avvenuto nell’approvazione di una legge delega, quella sulla riforma del lavoro).
Ma la cosa assume una portata ancora più impressionante se consideriamo che molte delle leggi diverse da quelle di conversione sono di ratifica di trattati internazionali (22 secondo il medesimo rapporto), il cui contenuto è quindi ancora una vota essenzialmente rimesso alla scelte del Governo. Ci sono poi le leggi per l’attuazione degli obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea e quelle finanziarie e di bilancio, di iniziativa del Governo e su cui il Parlamento può incidere solitamente poco.
Cosa rimane nella piena e reale disponibilità del Parlamento? In questa legislatura (al ventesimo mese) 13 – dico: 13 – leggi, tra cui quella per la celebrazione del centenario della nascita di Alberto Burri e quella per la dichiarazione di monumento nazionale della Basilica Palladiana di Vicenza. Ottime iniziative, certamente, ma non proprio rilevanti al fine della determinazione dell’indirizzo politico, ovviamente.
Si capisce bene, quindi, il richiamo al Governo della Presidente Boldrini, secondo la quale, giustamente, «l’uso eccessivo dei decreti legge rischia di alterare il fisiologico funzionamento della Camera dei Deputati», determinando «in particolare considerevoli difficoltà sul piano di una equilibrata programmazione dei lavori parlamentari, con la conseguenza che la gran parte del tempo disponibile per l’attività legislativa risulta ormai di fatto destinata alla discussione dei provvedimenti d’urgenza»
Certamente la situazione rischierebbe di aggravarsi se, secondo quanto prevederebbe la riforma costituzionale in discussione, il Governo potesse godere in Parlamento di una corsia preferenziale per tutti i propri disegni di legge, senza limiti.
Ecco, sarebbe meglio che ciascuno svolgesse il proprio ruolo istituzionale e che alle Camere fosse lasciato, con maggiore rispetto della Costituzione, il reale esercizio del potere legislativo (senza cedere a un antiparlamentarismo che avevamo già avuto occasione di criticare).