La riforma della cittadinanza, dopo l’approvazione alla Camera, con il nostro voto di motivata astensione per l’introduzione di uno ius culturae discriminatorio e di uno ius soli molto temperato, approda al Senato.
È stato disegnato un diritto a metà, zoppo, condizionato, octroyé, concesso dall’alto, discrezionale e frutto di un basso compromesso in seno alla maggioranza PD-NCD.
La bontà dei nostri argomenti critici viene confermata dall’analisi tecnica e dalla denuncia di illegittimità costituzionale sollevata dall’ASGI, la più autorevole associazione di studi giuridici sull’immigrazione.
I bimbi di origine straniera nati in Italia acquistano la cittadinanza italiana se almeno papà o mamma sono titolari di permesso di soggiorno a tempo indeterminato: e qui si annida il primo baco, perché il conseguimento e il mantenimento di questo tipo di permesso di soggiorno è legato al reddito (l’importo dell’assegno sociale moltiplicato per 13 mensilità) e quindi si condiziona l’acquisto della cittadinanza dei bambini di origine straniera al reddito dei genitori.
Diritti in base al censo, un bel ritorno al medioevo.
La soluzione corretta, se si vuole rispettare la ratio dell’intervento che è quella di circoscrivere lo ius civitatis a situazioni di non episodico e stabile collegamento col territorio nazionale, sarebbe quella di prevedere solo la regolare permanenza sul territorio nazionale da almeno 5 anni di uno dei due genitori.
Quanto allo ius culturae cioè il diritto di acquisire la cittadinanza italiana dopo un ciclo di studi di almeno 5 anni, con l’ulteriore condizione della promozione se si tratta del ciclo di istruzione primaria, ASGI addita la violazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, perché la norma non tiene conto delle condizioni di svantaggio dei bimbi disabili.
Un ulteriore aspetto di rilevanza costituzionale è l’attribuzione del diritto di presentare la domanda di cittadinanza ad uno solo dei genitori del bambino nato in Italia: per non violare gli artt. 29 e 30 della Costituzione bisogna attribuire a entrambi i genitori, paritariamente, tale prerogativa.
Con ogni evidenza, se il Senato non correggerà queste macroscopiche storture e vere e proprie violazioni della Costituzione, l’Italia avrà perso un’occasione storica per modernizzare il proprio sistema di cittadinanza.
Per chi, come noi, aveva attivamente partecipato alla campagna L’Italia sono anch’io questa legge è un tradimento e una delusione, una grande occasione perduta.
Continueremo a batterci in aula e fuori per la promozione di un diritto di cittadinanza pieno, vero, inclusivo, lungimirante, che guardi con intelligenza e con coraggio all’Italia di domani.
Come se non bastasse, in questi giorni sarà discussa e sicuramente approvata una mozione targata PD (con le firme anche di esponenti come Bersani, Cuperlo, D’Attorre) che affianca alla condivisibile proposta di introduzione di sezioni specializzate in materia di immigrazione nei tribunali ordinari, sul tema del diritti di asilo e della protezione internazionale e delle relative procedure di ricorso in caso di rigetto della domanda da parte della competente Commissione Territoriale, una modifica del processo civile con “eliminazione del contraddittorio in udienza” e “decisa compressione del giudizio di appello”.
Insomma, i diritti fondamentali della persona (art. 10 comma 3 della Costituzione, Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati) trattati come l’ultimo dei diritti di credito azionabile con ricorso per decreto ingiuntivo: un arretramento culturale e giuridico che disegna una giustizia di serie Z per i richiedenti asilo.
Non esiteremo a denunciare con forza anche questa ignobile deriva e ad assumere ogni iniziativa per contrastarla.