Immuni all’uguaglianza di genere

Gior­no 2 Giu­gno 2020, Festa del­la Repub­bli­ca. Dopo mesi pas­sa­ti in tota­le iso­la­men­to, tra­sfor­ma­ta in una flip­per-sfe­ra che ha rim­bal­za­to su tut­ti i muri del mio appar­ta­men­to dal 24 Feb­bra­io, cele­bro quel pez­zet­to di liber­tà ritro­va­ta con una gior­na­ta al mare. Ste­sa sul­la sab­bia cal­da, che ora mi sem­bra qua­si una bene­di­zio­ne, con la pigri­zia legit­ti­ma di un gior­no di festa, leg­go le noti­zie del gior­no e vedo che l’AN­SA ha twit­ta­to la pre­sen­ta­zio­ne del­l’APP Immu­ni.  Con­fes­so che non fac­cio subi­to caso alle ico­ne, ma pochi minu­ti dopo aver ripo­sto il tele­fo­no nel­lo zai­no mi dico: “ho visto bene?”. Il pic­co­lo scher­mo illu­mi­na­to, man­co pren­des­se vita, mi dice di si.  Dopo 74 anni la Repub­bli­ca mi ripro­po­ne la stes­sa visio­ne del­le don­ne di tre gene­ra­zio­ni fa: madri amo­re­vo­li, appa­ren­te­men­te feli­ci, scon­nes­se dal pre­sen­te, eter­ne Pene­lo­pe. L’uo­mo inve­ce vie­ne rap­pre­sen­ta­to davan­ti a un PC. La pri­ma cosa che pen­so è che stia lavo­ran­do, poi mi chie­do se non si stia guar­dan­do un por­no onli­ne, è pur sem­pre un gior­no festi­vo. Vor­rei sen­tir­mi furi­bon­da e pron­ta a tut­to, inve­ce sono stre­ma­ta, sfi­ni­ta, pro­sciu­ga­ta.  Mi chia­mo Lara, una lau­rea, un master, par­lo 3 lin­gue. Con­tri­bui­sco a rim­pin­gua­re i poz­zi per­den­ti che sono le cas­se del nostro pae­se da quan­do ho 20 anni, metà del­la mia attua­le esi­sten­za, e in tut­to que­sto tem­po lo Sta­to in cui sono nata ha con­ti­nua­to a vede­re milio­ni di Lara come uno di quei bei cusci­ni che ral­le­gra­no un diva­no trop­po scu­ro: ser­vi solo per dor­mir­ci sopra da sbron­zo.  Sono stan­ca, e mi sen­to schiac­cia­ta anche dal­le mie stes­se scel­te. Mi sen­to abban­do­na­ta e svi­li­ta dal­la mia Repub­bli­ca che con­ti­nua a chia­mar­mi Signo­ri­na, come se non aves­si paga­to le stes­se tas­se uni­ver­si­ta­rie dei col­le­ghi maschi per lau­rear­mi, e per que­sto non fos­si degna del tito­lo. La repub­bli­ca in cui il Comi­ta­to Tec­ni­co Scien­ti­fi­co del­la Pro­te­zio­ne Civi­le e la Task For­ce anti Covid del Gover­no era­no ini­zial­men­te com­po­sti da sole per­so­ne di ses­so maschi­le. La Repub­bli­ca in cui dei 21 Mini­stri del­l’at­tua­le Gover­no solo 7 sono don­ne, nono­stan­te al 31 dicem­bre 2017 le don­ne resi­den­te in Ita­lia fos­se­ro, 31.056.366, a fron­te di 29.427.607 uomi­ni.  I libri di testo del­le scuo­le ele­men­ta­ri ripor­ta­no anco­ra fra­si come “men­tre la mam­ma sti­ra, il papà lavo­ra”.  Le tre ricer­ca­tri­ci che han­no iso­la­to il coro­na­vi­rus allo Spal­lan­za­ni sono sta­te chia­ma­te “signo­re” o “ragaz­ze”.  Dal pal­co di San­re­mo ci han­no ricor­da­to che ci salia­mo solo per­ché sia­mo bel­le tope.  Il mio sti­pen­dio è infe­rio­re a quel­lo dei col­le­ghi maschi nono­stan­te gli egua­li tito­li e cor­si di for­ma­zio­ne e la posi­zio­ne di Brand Mana­ger mi è sta­ta rifiu­ta­ta per­ché “sei una don­na, pri­ma o poi vor­rai dei figli, sare­sti un costo”.  Mi vesto di scu­ro per esse­re pre­sa sul serio. Evi­to di met­ter­mi il ros­set­to, per­ché la mia boc­ca car­no­sa potreb­be esse­re un invi­to a stru­sciar­si sul mio sede­re, sul­l’au­to­bus. Intan­to dei ragaz­zi sten­do­no un asciu­ga­ma­no sopra un buco che han­no sca­va­to. Il loro ami­co ci cadrà den­tro quan­do tor­ne­rà dal­le doc­ce. È quel­lo che suc­ce­de al pro­ces­so di ugua­glian­za e pro­gres­so nel mio pae­se: ogni vol­ta che noi don­ne sia­mo costret­te ad urla­re la nostra esa­spe­ra­zio­ne per­ché voglia­mo par­te­ci­pa­re, voglia­mo met­te­re sul piat­to le nostre idee, dare il nostro con­tri­bu­to e smet­ter­la di esse­re esse­re con­si­de­ra­te alla stre­gua di un acces­so­rio, un cane da com­pa­gnia, il Gover­no ci met­te una top­pa. Non si pen­sa mai a riem­pi­re quel buco e non rie­sco a far­me­ne una ragio­ne. Resta solo il fat­to che pre­sto ci cadre­mo den­tro di nuo­vo.    Lara Caval­li Mon­tei­ro  

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Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

I padroni dicono di no a tutto. E per questo scioperiamo.

La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.