A proposito d’immunità e di riforma costituzionale il caso dell’ex sindaco Gabriele Albertini (oggi senatore, tra l’altro di maggioranza) è un paradigma importante: il senatore del Nuovo Centro Destra pretende di evitarsi il processo penale per calunnia aggravata ai danni del magistrato Robledo appellandosi alla sua immunità da senatore.
La storia non avrebbe nulla di anomalo rispetto a alla realtà a cui siamo abituati se non fosse che Albertini ha commesso il reato nel 2011 quando, da sindaco, accusò il magistrato Alfredo Robledo (che indagava sui derivati acquistati dal Comune di Milano) di perseguitare la sua Giunta. E qui comincia la triste tiritera: Albertini viene eletto parlamentare europeo e a Bruxelles guadagna tempo chiedendo di essere protetto dall’immunità dovutagli dal suo ruolo, la richiesta nel 2013 gli viene ovviamente negata (con la ovvia motivazione che il reato si è consumato durante l’attività di sindaco) ma intanto Albertini ormai è senatore della Repubblica.
Siamo al 29 luglio 2014 quando Albertini chiede ufficialmente al Senato di poter usufruire dell’immunità (ancora) per essere salvato dal processo penale e mentre la Giunta per le Immunità decide il da farsi l’ex sindaco lancia un messaggio chiaro: “se poi la stessa maggioranza, quando io ho un problema, mi vota contro, allora sono io che non voto più”. In sostanza Albertini minaccia il governo di far mancare il proprio voto (preziosissimo nella risicata maggioranza al Senato) nel caso in cui non abbia il trattamento che si aspetta.
Nel nuovo Senato pensato da Renzi e Boschi invece Albertini, no, non avrebbe avuto problemi. E forse sarebbe il caso di proporre una riflessione: se è vero che qui si tratta semplicemente di una frase fuori posto siamo davvero sicuri che l’immunità a chi ricopre incarichi amministrativi siano una buona idea? O meglio, per dirla più bassa: offrireste l’immunità a un senatore dopolavorista che nella sua attività amministrativa quotidiana si occupa, ad esempio, di urbanistica?