[vc_row][vc_column][vc_column_text]«Riaprire tutto» è quello che viene ripetuto in quasi tutte le regioni italiane, comprese quelle più duramente colpite dall’emergenza sanitaria. Chiedono sostanzialmente maggior autonomia nella gestione della Fase 2. Mentre c’è chi sta riaprendo o riaprirà a breve, ci sono dei laboratori in Lombardia che rimarranno chiusi: non vedranno più 76 ricercatori della Rottapharm Biotech, perchè sono stati licenziati e i laboratori nei quali lavoravano saranno dismessi. Mentre nel mondo la ricerca scientifica nel campo medico-farmaceutico assume una rilevanza strategica (non solo economica) anche a livello geopolitico, a Monza si va decisamente in controtendenza.
Le lettere di licenziamento sono datate 19 febbraio (il Dpcm blocca i licenziamenti a partire dal 23 febbraio, 4 giorni di differenza) e ai ricercatori non rimane neanche la possibilità di organizzare manifestazioni di protesta. Lucio Rovati, presidente di Rottapharm Biotech, giustifica la chiusura del centro di ricerca brianteo dicendo di voler concentrare gli investimenti su progetti di ricerca universitari e di piccole biotech innovative e altamente specializzate, perchè il modello tradizionale di ricerca risulta superato dal modello delle piccole start up. Ai lavoratori oltre alla prodecura collettiva di licenziamento rimane l’offerta, avanzata dall’azienda, di 12 mensilità più 400 Euro per ogni anno di anzianità.
Ora la trattativa si sposta al ministero del lavoro (un incontro è previsto per il prossimo 14 maggio).
I sindacati si chiedono come farà Rottapharm Biotech ad implementare la ricerca sul vaccino, l’antivirale, i farmaci contro il coronavirus (i tre settori di ricerca distinti e complementari a cui si sta lavorando in tutto il mondo), sui quali l’azienda ha premesso che si avvarrà della collaborazione di un altro centro di ricerca e dell’università Milano-Bicocca.
L’Italia nel 2018 è stata la prima produttrice di farmaci d’Europa, per un valore pari a 32 miliardi di Euro, con un trend di crescita di valore dell’output di 8,8 mld fra il 2009 e il 2018 (il 38% in più)
Come conferma il rapporto “L’innovazione della vita. Ricerca, produzione e digitalizzazione nel settore farmaceutico per un modello italiano di successo” condotto dall’Istituto per la Competitività (I‑Com), i risultati conseguiti in termini di produzione ed export hanno avuto riflessi positivi anche sul mercato del lavoro: tra il 2014 e il 2018 l’industria farmaceutica ha aumentato l’occupazione più di tutti gli altri settori manifatturieri italiani, nel 2018 gli addetti farmaceutici hanno raggiunto le 66.500 unità. Fra i risultati positivi la nota dolente è rappresentata (come sempre) dagli investimenti in ricerca e sviluppo (rimane ampio il gap con gli altri paesi dell’UE).
Nel nostro Paese si investe significativamente meno in termini assoluti: 1,6 miliardi di euro nel 2018. Malgrado ciò, l’andamento degli investimenti registra nel tempo una dinamica positiva, con un aumento pari al 35% negli ultimi dieci anni. Una dinamica positiva da non dare per scontata e che le istituzioni dovrebbro incentivare con politiche ad hoc. Rimangono alcune criticità di fondo che l’emergenza sanitaria rischia di portare (o sta portando anzitempo) a galla: in primis la rimodulazione dei tetti di spesa e il ripiano della spesa farmaceutica. Si ripete da anni ormai che è fondamentale assicurare un adeguato finanziamento alla spesa farmaceutica, rimodulando i tetti, in particolare quello sulla farmaceutica ospedaliera, che fin dall’inizio è apparso palesemente inadeguato. Poi il rifinanziamento dei due fondi per gli innovativi (oncologici e non) e la possibilità di gestire eventuali avanzi, consentendo alle risorse stanziate per il farmaco di rimanere nell’ambito della spesa farmaceutica. [/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]