Dopo il referendum del 4 dicembre, stiamo assistendo a uno spettacolo paradossale che ci riporta all’inizio della legislatura (che sembra obiettivamente un secolo fa), con la proposta del Mattarellum come legge elettorale e addirittura del centrosinistra come schema politico (salvo innestare in questo anche almeno una parte di centrodestra: quello “nuovo”). Esattamente ciò che è stato negato all’inizio della legislatura, quando una parte del centrosinistra (non solo Giachetti – molto ricordato – ma anche Civati e i parlamentari che sostenevano la sua mozione, oltre a Sel) proponeva di recuperare il Mattarellum. Una legge elettorale cancellata – è bene ricordarlo – dal centrodestra alla fine della XIV legislatura, in meno di tre mesi, per mettere i bastoni tra le ruote al centrosinistra che, in base ai risultati delle regionali del 2005, si sarebbe dovuto avviare, alle successive elezioni politiche, a una significativa vittoria (che risultò invece almeno parzialmente amputata proprio dalla nuova legge elettorale, il Porcellum).
All’inizio di questa legislatura, quando dopo avere utilizzato per ben tre volte una legge incostituzionale, ci si è risolti a modificare la legge elettorale, il Mattarellum è stato sacrificato, assieme al centrosinistra, alle cosiddette “larghe intese”, alle quali si è opposto, nel centrosinistra, praticamente solo Civati, che ha portato quella posizione al congresso, dove ha ottenuto, dagli elettori democratici, un riscontro decine di volte superiore a quello che vi era nei gruppi parlamentari. Ma anche questo è stato considerato irrilevante, coperto dal 67% ottenuto da Renzi, che — divenuto segretario — ha addirittura rilanciato lo schema delle “larghe intese” con una prospettiva di legislatura. Con un Governo che, al di là del cambio di Presidente del Consiglio dei ministri e di una parte dei ministri, aveva la stessa composizione politica dell’ultima fase del precedente, rinsaldando sempre di più il tandem Pd-Ncd (che vuol dire: nuovo centrodestra), soprattutto dopo il progressivo squagliarsi del polo centrista di Scelta civica (che comprensibilmente vedeva il suo spazio eroso dal nuovo Pd).
In questo schema si sono realizzate le famose “riforme”: quella del jobs act, con una (ulteriore) riduzione dei diritti dei lavoratori (dai licenziamenti ai voucher), quella della “buona scuola”, incentrata sul “preside manager” e la cui cattiva riuscita è ormai riconosciuta da tutti, quella della “legge Madia”, dichiarata incostituzionale, quella della legge elettorale, con l’Italicum, che, oltre ad essere (fortemente) a sospetto di incostituzionalità (la pronuncia della Corte è attesa per il 24 gennaio) non serve a nulla con due Camere elettive e comunque non piace già più a nessuno; per non parlare delle posizioni assunte dal Governo a difesa delle energie fossili o del ponte sullo stretto. Infine, la riforma costituzionale, la “riforma delle riforme”, su cui non è stato ascoltato nessuno di coloro che avanzavano critiche costruttive e rispetto alla quale si è inteso procedere con la tecnica dello schiacciasassi, imponendo la posizione della sola maggioranza , proprio come i parlamentari dell’Ulivo avevano detto al centrodestra, nel 2005, che non si faceva, perché la Costituzione deve essere condivisa.
In definitiva, abbiamo assistito a una lunga serie di scelte spesso risultate sbagliate, che non hanno risolto i problemi o addirittura hanno dato luogo a difficoltà di applicazione, a dichiarazioni di incostituzionalità e – nel caso più rilevante – a una sonora bocciatura popolare, che erano politicamente indubbiamente virate nel campo del centrodestra, con almeno una parte del quale (da Alfano a Verdini) l’alleanza, in effetti, prosegue da anni.
Dopo l’esito del referendum del 4 dicembre, in cui gli italiani hanno respinto, con quasi il 60% di “No”, la riforma costituzionale del Governo (alla quale lo stesso aveva attribuito doti taumaturgiche come la cura dei “bambini diabetici” o delle più gravi malattie), i protagonisti sono rimasti tutti saldamente in campo, tanto che la formazione del nuovo Governo, che ha mantenuto esattamente lo stesso schema politico (Pd — Nuovo centrodestra), si è risolto essenzialmente in una prosecuzione del precedente, con la sola ministra Giannini congedata, l’ingresso di Fedeli e Finocchiaro e qualche riposizionamento: da Boschi a Lotti, da Alfano a Minniti, senza che sia risultato chiaro neppure quale fosse la ragione della formazione di un “nuovo” Esecutivo uguale al precedente.
Con i protagonisti del “partito della nazione” e dell’alleanza Pd-Ncd, fautori dell’Italicum sostenuto fino a mettervi sopra il voto di fiducia al Governo, adesso si ripropone un “centrosinistra” (da Pisapia ad Alfano, che guida un partito che si chiama “nuovo centrodestra”) e come legge elettorale il Mattarellum. Come se nulla fosse, come se tre anni potessero essere messi tra parentesi, senza chiedere neppure scusa. Senza neppure dire: ci siamo sbagliati, è meglio che uno schema politico di centrosinistra – che si oppone e non si allea con il centrodestra – e una legge elettorale conseguente siano portati avanti da chi li ha sempre sostenuti. Sarebbe, in fondo, un’assunzione di responsabilità: quella che nella politica italiana manca.