[vc_row][vc_column][vc_column_text]Lo scorso 5 giugno l’assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera ha tenuto una conferenza stampa per illustrare i primi risultati sull’attuazione della presa in carico dei pazienti cronici, proposta che coinvolgerebbe a regime oltre 3 milioni di cittadini lombardi. Questo progetto prevede che i pazienti cronici scelgano un gestore (privato) con cui sottoscrive un “patto di cura” annuale e un successivo “piano di assistenza individuale”. L’obiettivo sarà quello di contenere i costi della Regione nella spesa per questa tipologia di pazienti, assicurando al gestore privato una “provvigione” in base alla percentuale di risparmio ottenuta nel corso dell’anno. È auto-evidente che il rischio di tale sistema è che a farne le spese siano i pazienti stessi, che in virtù dell’obbiettivo del risparmio potrebbero veder diminuire la qualità e la quantità delle cure necessarie per monitorare/curare le proprie patologie.
Aldilà di tali ragionevoli critiche, che non sembrano preoccupare le forze oggi all’opposizione in Regione, l’Assessore Gallera dichiarava: “Quella che stiamo mettendo in campo è una riforma che non ha pari in Italia e in Europa. Stiamo costruendo un modello che ci consentirà di superare quella frammentazione che impedisce il dialogo tra la medicina del territorio e quella ospedaliera e che consentirà l’accompagnamento personalizzato del paziente cronico, che migliorerà la qualità della sua vita”.
Ma è tutto vero? E quale impatto avrà tale riforma sul sistema sanitario lombardo e – in potenza – su quello nazionale?
In realtà, dati alla mano, si rileva che è proprio sull’integrazione tra ospedale e territorio che questo progetto sta fallendo. I numeri riportati durante la conferenza stampa dicono molto delle difficoltà incontrate nell’arruolamento dei cittadini cronici.
Di fronte al massiccio sforzo propagandistico (3 milioni di lettere inviate a pazienti cronici inconsapevoli di esserlo, pressioni operate soprattutto da medici aderenti alle cooperative sui pazienti, centinaia di migliaia di opuscoli informativi, farmacisti mobilitati, ecc.) i risultati non sono certo lusinghieri come afferma Gallera. I numeri nudi e crudi ci dicono che su 3 milioni di cittadini “cronici” solo l’8,44 % ha aderito al nuovo piano e solo il 4,6% ha finora stipulato il PAI, cioè è entrato effettivamente nel nuovo programma di gestione lombardo.
Se si guarda poi la percentuale di chi ha avuto maggiore presa sui cittadini, si vede che il successo ha arriso alle cooperative dei medici gestori (85% della sottoscrizione del patto di cura e 99% dei piani di cura sottoscritti).
Cosa vuol dire? Che i cronici già in trattamento nelle strutture ospedaliere private e pubbliche hanno pensato bene di non sottoscrivere nulla, evidentemente preoccupati da quanto la riforma prevede.
Ma non solo i pazienti hanno risposto debolmente a questa riforma. Anche i medici specialisti ospedalieri pubblici hanno mostrato resistenza per diversi motivi, a partire dalle difficoltà evidenti di doversi assumere – data anche la scarsità di personale – la presa in carico totale (ovvero per tutte le patologie) dell’ammalato. A medici già stressati da carichi di lavoro importanti verrebbe infatti chiesto di svolgere anche la funzione di “clinical manager”, ossia rispondere non solo alle richieste di cura per la patologia, ma anche assolvere a una nuova funzione condivisa con il medico di base.
È vera in questo senso l’affermazione che la “riforma” non ha pari in Italia e in Europa. Perché è dettata da una sottovalutazione tecnica delle difficoltà da affrontare per favorire l’integrazione dei processi di cura che non ha pari in alcun altro Paese. Ma si sa, le competenze padane non sono roba che si trova ovunque e, indipendentemente dai limiti evidenti, la riforma trova supporter non più bipartisan ma addirittura tripartisan.
Si va dalla ex ministra Lorenzin che indica il modello lombardo come esempio da seguire a livello nazionale (nonostante rispetto al Piano Nazionale sulla Cronicità da lei varato la riforma sia deficitaria almeno in 2 aspetti, integrazione dei servizi sul territorio e integrazione col sistema sociosanitario), al il PD del “fare meglio” di Giorgio Gori che manifestava il suo favore alla riforma con la presenza di Capelli, mente della riforma maroniana, nelle sue liste per le elezioni regionali, passando per i consiglieri 5 stelle che sembrano ormai orientati a non richiedere più il ritiro del progetto, contrariamente a quanto promesso in campagna elettorale (pesa forse l’alleanza di governo?).
Insomma, una “rivoluzione” calata dall’alto, che fatica a decollare perché sconta anche le – pessime – scelte di politica sanitaria fatte in Lombardia dalle precedenti giunte Formigoni e Maroni che hanno destrutturato la rete dei servizi sociosanitari e riconfigurato gli enti con un’ottica di finta razionalizzazione che lascia sempre più spazio alle strutture private (il cui peso in Lombardia è maggiore sia numericamente sia percentualmente che in qualsiasi altra regione italiana).
E che non trova opposizione, così come blanda è stata l’opposizione precedentemente messa in atto in questi lunghi 20 anni di governo di destra della Regione.
Tutto questo nonostante questa riforma abbia creato ancora più scomposizione organizzativa e maggiore disorientamento tra i cittadini e operatori lombardi, oltre a un ingente spreco di risorse.
Sono già stati investiti € 200 milioni come incentivo per la presa in carico dei pazienti. Basandosi sui dati attuali, € 10 milioni saranno dati alle Cooperative dei Medici, evidenti attori principali nel confuso avviamento della riforma e tra le quali avvengono già processi di concentrazione. Ma anche le cooperative non riescono a garantire il principale vantaggio promesso al paziente arruolato, ovvero l’agevolazione nelle prenotazioni degli esami, non avendo i collegamenti necessari per accedere alle agende degli ospedali e strutture erogatrici. Un punto debole, questo, non solo del servizio lombardo, ma del sistema italiano in generale. E non a caso il primo atto del nuovo ministro della salute, Giulia Grillo, è una circolare che ha per oggetto l’Aggiornamento del Piano Nazionale di governo delle liste di attesa: si tratta di una richiesta di informazioni da fornire in 15 giorni (!).
Resta il pericolo che la riforma lombarda sia l’ennesimo tassello per l’istituzione a livello nazionale di un secondo pilastro assicurativo che stravolgerebbe completamente l’attuale struttura del Servizio Sanitario.
Per questo la riforma lombarda andrebbe avversata con forza, riportando prima di tutto al centro del dibattito la necessità di mettere uno stop al taglio del finanziamento del settore sanitario e all’importanza di preservare la sanità pubblica, costantemente svalutata e bistrattata a favore di quella privata e dei suoi ingenti interessi.
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