Per prima cosa, vorrei dare un abbraccio ad Anna Motta e Pino Paciolla, i genitori di Mario Paciolla, che sono stati qui con noi oggi. È bellissimo vedervi e poterci stringere, in questo mondo che non è ancora quello che vorremmo che fosse.
Poi, voglio iniziare dicendo che sono molto grata per la giornata di oggi, a tutte le persone che sono state sul palco, a esagerat3 e a Possibile, perché l’energia e le idee e le esperienze sentite oggi rappresentano un’occasione che non è facile avere.
Non è facile perché per giornate come oggi bisogna prendersi il tempo e lo spazio, e tempo e spazio oggi vanno conquistati, mentre dovrebbero essere un diritto. Invece, come per tutti gli altri diritti, ci troviamo in un sistema che li comprime. Spazi di discussione, di dissenso: le piazze per manifestare, le sale per organizzare gli eventi, i luoghi della socialità (e non del consumo). La periferia e il centro, il nord e il sud, la città e i paesi. Degli spazi si è parlato parecchio oggi, non solo nell’intervento più specifico di Laura del Re per Sex and the city, ma anche negli altri panel, e ne abbiamo parlato anche a pranzo, a microfono spento. Della difficoltà di trovarne, soprattutto per chi è giovane e “non inserito”, per chi cerca di creare qualcosa da zero dove non c’è.
E poi c’è la questione del tempo. Il tempo non dedicato al lavoro, al lavoro di cura, all’iperconnettività di cui siamo bene o male vittime. Il tempo, come lo spazio, è un requisito necessario per la democrazia. Abbiamo bisogno di tempo per studiare, per ascoltare, per fare esperienze, per partecipare. Per spostarci e attraversare gli spazi in cui vogliamo e dobbiamo stare. Senza questo tempo necessario, non c’è politica o partecipazione, ma solo slogan. Ed è una parte importante del clima politico pessimo in cui viviamo.
Nel sistema capitalistico e patriarcale in cui ci troviamo, questo tempo non c’è, programmaticamente. Perché l’imperativo è produrre, lavorare, spesso per molte più ore di quanto sia giusto ed equo per raggiungere la soglia necessaria per vivere. Perché nel resto del tempo bisogna consumare, preferibilmente. “Grazie” al gender pay gap, per le donne sono molte più ore. “Grazie” alla distribuzione ineguale del lavoro di cura, per le donne quel tempo si riduce ancora di più.
E invece lo spazio ce lo prendiamo, lo occupiamo con tutte le difficoltà che comporta, il tempo lo troviamo, faticosamente. Su questo voglio dire una cosa a cui tengo molto, ne ho parlato nel primo discorso da segretaria di Possibile e ci torno sopra. Negli ultimi anni, difficilmente ho avuto una conversazione sulla militanza e sull’attivismo in cui a un certo punto non spuntasse il tema del burn out, quello stress cronico per cui si viene sopraffatte dalle cose da fare e dalla pressione. L’abbiamo visto succedere a tante compagne e compagni di strada, perché chi fa attivismo spesso sente tutto il peso del mondo sulle proprie spalle, letteralmente. Chi sente l’urgenza di agire il cambiamento sente lo stress di non fare abbastanza. Succede con la crisi climatica, con la Palestina, con la rabbia che ci prende di fronte alla violenza di genere e ai femminicidi, all’omolesbobitransfobia, al razzismo, alle disuguaglianze economiche.
Ecco, non lasciamo che la cultura del “tutto o niente”, della performance a tutti i costi ci tolga il diritto e la soddisfazione di fare la nostra parte. Se abbiamo due ore da dedicare a una causa in cui crediamo, sono due ore in cui qualcun’altra può togliersi il peso dalle spalle. Pensiamola come una “banca del tempo” in cui ognuna porta quello che può perché lo sforzo è collettivo. Da sole, non basterebbero tutte le 24 ore, senza mangiare e senza dormire. Insieme, è un’altra cosa. Come dividiamo gli spazi, abituiamoci a dividere anche il tempo.
Questa intersezione di tempo e spazio in cui portiamo i nostri corpi è la nostra resistenza. Questa è la parola con cui vorrei chiudere e anche l’augurio che ci faccio. Non è l’augurio che vorrei fare, perché speravamo che la resistenza fosse finita e si potesse lavorare sull’andare avanti. Però è l’augurio che mi sembra sia richiesto dai tempi e dal clima politico, nazionale, europeo e globale. E, tornando all’inizio, sono molto grata di essere qui a resistere con voi. Insieme.