Irini: la nuova missione Ue porterà davvero la pace nel Mediterraneo?

Il cessate il fuoco in suolo libico appare lontano dall’avverarsi se la comunità internazionale – ed europea in particolare – non sono in grado di garantire il rispetto dell’embargo di armi né una tregua, seppur temporanea, dal conflitto.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]di Sil­via Casu

Con i riflet­to­ri pun­ta­ti sul­la pan­de­mia, è faci­le che que­stio­ni degne di nota, come quel­la migra­to­ria, pas­si­no in secon­do pia­no. 

Mai come in que­sto momen­to è fon­da­men­ta­le man­te­ne­re la sta­bi­li­tà nel Medi­ter­ra­neo. Nono­stan­te gli appel­li inter­na­zio­na­li per una tre­gua che aiu­ti a con­te­ne­re la pan­de­mia, i con­flit­ti in Libia si sono acui­ti. «Non pos­sia­mo per­met­ter­ci di com­bat­te­re due guer­re allo stes­so tem­po» — affer­ma Josep Bor­rell, mini­stro degli este­ri UE, duran­te la con­fe­ren­za stam­pa di pre­sen­ta­zio­ne del­la nuo­va mis­sio­ne euro­pea nel Mediterraneo.

Il 31 mar­zo è infat­ti ter­mi­na­to il man­da­to dell’operazione mili­ta­re euro­pea “SOPHIA”, avvia­ta nel 2015 per con­tra­sta­re la trat­ta ille­ga­le di esse­ri uma­ni, far rispet­ta­re l’embargo sul­le armi dispo­sto dall’ONU e rac­co­glie­re infor­ma­zio­ni sul traf­fi­co ille­ci­to di petro­lio dal­la Libia. 

SOPHIA, da tem­po depo­ten­zia­ta e pri­va­ta di equi­pag­gia­men­to, fon­di e per­so­na­le, ha chiu­so i bat­ten­ti lascian­do il posto alla nuo­va mis­sio­ne mili­ta­re euro­pea “IRINI” (“pace” in gre­co), atti­va dal 1 apri­le, ma diver­sa dal­la pre­ce­den­te mis­sio­ne per ambi­to di azio­ne e moda­li­tà d’intervento.

IRINI, infat­ti, dispie­ghe­rà mez­zi nava­li, aerei e satel­li­ta­ri nel trat­to di costa orien­ta­le a fron­te del­la Cire­nai­ca, e non più nell’area del­la Tri­po­li­ta­nia, da cui però pro­vie­ne la mag­gior par­te del­le par­ten­ze irre­go­la­ri via mare. L’UE sem­bra quin­di voler cir­co­scri­ve­re la pro­pria area d’intervento per evi­ta­re di attrar­re, con la pro­pria pre­sen­za, più migran­ti, nono­stan­te il con­trol­lo del­le reti di traf­fi­co e trat­ta di esse­ri uma­ni rien­tri tra gli obiet­ti­vi del­la mis­sio­ne. Que­sta teo­ria, nota come pull fac­tor, è però smen­ti­ta dai dati, che non regi­stra­no alcu­na varia­zio­ne signi­fi­ca­ti­va di par­ten­ze dal­la costa libi­ca pur in momen­ti di alta den­si­tà di imbar­ca­zio­ni di soc­cor­so nel Mediterraneo.

L’eventualità di incor­re­re in un’imbarcazione in peri­co­lo non è però da esclu­de­re: il soc­cor­so in mare è infat­ti un obbli­go ai sen­si del dirit­to inter­na­zio­na­le, a cui i mez­zi del­la mis­sio­ne non pos­so­no sot­trar­si. L’UE ha per­tan­to mes­so le mani avan­ti pre­ve­den­do, all’esito di un tra­va­glia­to dibat­ti­to inter­go­ver­na­ti­vo, che i migran­ti even­tual­men­te soc­cor­si saran­no sbar­ca­ti sul­le coste gre­che e redi­stri­bui­ti in Europa.

Sul ricol­lo­ca­men­to, però, gra­va l’impasse del Rego­la­men­to di Dubli­no, che sca­ri­ca il peso dell’accoglienza, di fat­to, sui pae­si di pri­mo ingres­so. L’avvio del­la mis­sio­ne ha infat­ti incon­tra­to la resi­sten­za di pae­si tra­di­zio­nal­men­te favo­re­vo­li a poli­ti­che anti-immi­gra­zio­ni­ste, qua­li Austria e Unghe­ria. Non sor­pren­de che il 2 apri­le la Cor­te di Giu­sti­zia UE abbia accol­to un ricor­so pre­sen­ta­to dal­la Com­mis­sio­ne Euro­pea nei con­fron­ti di Polo­nia, Repub­bli­ca Ceca e – non a caso – Unghe­ria, per non aver ottem­pe­ra­to alle richie­ste di ricol­lo­ca­men­ti di migran­ti sul pro­prio territorio.

Ci si chie­de poi quan­to effet­ti­va pos­sa esse­re la lot­ta ai traf­fi­can­ti di esse­ri uma­ni se la nuo­va mis­sio­ne, in per­fet­ta linea con la pre­ce­den­te, si pro­po­ne di con­ti­nua­re le atti­vi­tà di svi­lup­po e for­ma­zio­ne del­la guar­dia costie­ra e mari­na libi­ca, accu­sa­ta da report inter­na­zio­na­li, non­ché dal­la Cor­te di Stra­sbur­go, di aver com­mes­so gra­vi vio­la­zio­ni nei con­fron­ti dei migranti.

A com­pli­ca­re il qua­dro, si aggiun­ge infi­ne una limi­ta­zio­ne dei pote­ri con­cre­ti di inter­ven­to: se in seno all’operazione SOPHIA era­no con­sen­ti­ti fer­mi, ispe­zio­ni, seque­stri e dirot­ta­men­ti di imbar­ca­zio­ni sospet­ta­te di esse­re usa­te per il traf­fi­co o la trat­ta di esse­ri uma­ni, IRINI pre­ve­de sola­men­te la rac­col­ta di dati e informazioni.

Il con­trol­lo sul­la trat­ta di esse­ri uma­ni rima­ne comun­que un com­pi­to secon­da­rio del­la mis­sio­ne, che mira anzi­tut­to al ripri­sti­no del­la pace nel­la regio­ne libi­ca. Tut­ta­via, una zona d’influenza limi­ta­ta e la sola pos­si­bi­li­tà di rac­co­glie­re infor­ma­zio­ni nel caso di avvi­sta­men­to di imbar­ca­zio­ni sospet­te, ren­do­no anche tale con­trol­lo meno effi­ca­ce, sen­za con­si­de­ra­re che il traf­fi­co di armi può con­ti­nua­re, se non via mare, via terra.

Il ces­sa­te il fuo­co in suo­lo libi­co appa­re lon­ta­no dall’avverarsi se la comu­ni­tà inter­na­zio­na­le – ed euro­pea in par­ti­co­la­re – non sono in gra­do di garan­ti­re il rispet­to dell’embargo di armi né una tre­gua, sep­pur tem­po­ra­nea, dal conflitto.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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