C’è chi ha ventilato l’ipotesi che a Macerata e in generale in Italia girino pericolosi cannibali africani. In seguito al rinvenimento del cadavere di Pamela Mastropietro e alle conseguenti notizie di stampa, abbondanti di dettagli truculenti, è montata una rumorosa ostilità nei confronti dei nigeriani da parte di xenofobi e razzisti, ostilità che si è risolta nella messa in circolazione di notizie e considerazioni offensive quanto indimostrate. Considerazioni platealmente razziste, come sempre quando si cerca d’inquadrare interi popoli in una condizione d’inferiorità e d’arretratezza.
Così si è arrivati prima a favoleggiare di rituali magici come movente dello smembramento del corpo della povera ragazza e si è finiti per tirare in ballo il cannibalismo. Una pratica che da decenni ormai è assodato appartenere solo a un gruppo tribale che vive nelle foreste della Papua Nuova Guinea, che sta in Oceania, molto distante dalla Nigeria.
Il cannibalismo in Nigeria però non esiste, come da tempo non esiste più al mondo e poco importa che improvvisati espertoni di Nigeria come Alessandro Meluzzi pretendano d’affermare il contrario, dopo aver dato una veloce scorsa ai primi risultati proposti da Google cercando con Nigeria+cannibalismo. Un modo di procedere abbastanza diffuso, che ha fatto in modo che emergessero diversi riferimenti al fenomeno del cannibalismo nigeriano, in lingua italiana, tutti fondati ugualmente sul nulla.
Non esiste invece alcun riferimento anglofono che faccia riferimento a pratiche di cannibalismo socialmente accettate in Nigeria, esistono invece numerose storie di cannibalismo che poi si sono dimostrate bufale. C’è cascata anche BBC, che poi si è dovuta scusare per aver raccontato di un ristorante nel quale si cucinava carne umana.
Il cannibalismo in Africa non esiste e non è neppure mai esistito nelle dimensioni raccontate in Europa, essendo appartenuto a una parte limitatissima di africani. Gli atti di cannibalismo di cui si può avere notizia oggi hanno una genesi criminale del tutto distaccata da culture e tradizioni locali. Non si tratta di una pratica sociale, ma di degenerazioni individuali simili a quella di altri killer di altri paesi nel mondo impegnati in attività simili. Ovviamente l’esistenza di un pazzo cannibale a Mosca non rende cannibali i russi, ma ai razzisti nostrani basta una sospetta storia di cannibalismo per far diventare cannibali tutti i nigeriani.
Tentativo già esperito anche a proposito dei Boko Haram, che in quanto estremisti islamici dovrebbero avere orrore di attività del genere, ma è pieno di improvvisati narratori dell’Africa che non si fanno problemi a passare sopra a logica ed evidenza e che sul dubbio racconto di episodi di cannibalismo per necessità costruiscono l’immagine del feroce selvaggio. Eppure per un europeo non dovrebbe essere difficile capire che l’accusa di cannibalismo è divenuta uno strumento di propaganda usato da africani contro altri africani, mutuandone l’uso dai colonizzatori europei. COme non dovrebbe essere difficile capire che il nero invasore è sempre selvaggio e malvagio agli occhi dell’invaso, ricordando che è stato così anche per gli italiani in America, accusati delle stesse turpitudini che ora si affibbiano ai nigeriani, mafia compresa.
L’evidenza dice che giornalisti antropologi e studiosi non trovano traccia di cannibalismo in Nigeria o altrove in Africa, non ci sono pubblicazioni attendibili che ne sostengano l’esistenza o la pratica non estemporanea. Le fonti si limitano a qualche sparso articolo di cronaca nera (in genere fondato come quello di BBC di cui sopra) e ad alte riflessioni intorno agli stessi da parte del Meluzzi di turno. La Nigeria è uno dei paesi africani più moderni e vitali, i giovani nigeriani che emigrano verso l’Europa di solito provengono da contesti urbani del tutto diversi da quelli immaginati da chi fa propria una narrazione del genere o sono in fuga dal Nord a maggioranza musulmana, piagato dalla violenza dei Boko Haram, ma del tutto alieno al cannibalismo, che non appartiene certo alla tradizione musulmana. E nonostante tutto questo la Nigeria è anche un meta scelta da molti emigranti africani, tanto che ha un saldo migratorio negativo molto basso, per essere un paese con 190 milioni di abitanti e con i problemi enormi che si ritrova.
Chi arriva dalla Nigeria arriva da un paese piagato dalla corruzione e da diversi conflitti locali, può fuggire dai Boko Haram come dalle faide per i pascoli o dall’inquinamento e dal banditismo nel delta del Niger, ma arriva comunque da un grande e ricco paese africano in tumultuoso sviluppo nel quale convivono un gran numero di etnie e culture diverse, tutto il contrario del modello unico di nigeriano indesiderabile che alberga nella rappresentazione costruita dai razzisti e da chi straparla di vodoo o di cannibali.
In Nigeria esiste una fiorente industria cinematografica (Nollywood), ci sono metropoli che ospitano milioni di persone e i giovani e meno giovani nigeriani sono decisamente proiettati verso il futuro, usano i cellulari per le spese e trasferire denaro, oltre che per comunicare e intrattenersi come tutti i coetanei nel resto del mondo e tendono a imitare lo stile di vita occidentale, segnatamente quello americano. Gli enormi e multiformi problemi del paese non eclissano questa realtà e non rendono meno profughi quelli che fuggono perché inseguiti dalla violenza e nemmeno meno liberi e legittimati ad emigrare quelli che sentono di dover andare altrove, non c’è niente che distingua gli emigranti nigeriani da quelli di altri paesi e di altre epoche, se non il fatto d’esser stati presi di mira e usati come spaventacristiani dai razzisti italiani. Discorsi e raltà che difficilmente possono intaccare le convinzioni del provinciale razzismo tricolore, che nell’Africa vede ancora e sempre un enorme contenitore di ricchezze naturali popolato da selvaggi che un tempo volevamo sottomettere e che ora ci vogliono invadere, e che per questo sono da cacciare, da rempingere. Selvaggi e selvagge che, a guardarli bene, sembrano molto meno selvaggi e molto più educati e istruiti di quegli italiani che passano il loro tempo a fare i bastioni contro l’invasione e a raccontarsi sui social quanto siano superiori agli africani.