Oggi il sindaco di Milano Beppe Sala, intervistato per Repubblica dopo l’autosospensione dell’autosospensione che l’ha rimesso al suo posto, punta il dito contro la magistratura. Alla domanda “lei ha fiducia nella magistratura?” il sindaco risponde:
«Io ho fiducia. Ma credo sia giusto dire che non è normale apprendere di essere indagato dai giornali, soprattutto mentre stai facendo un lavoro di responsabilità in nome della collettività. So bene che non è la prima volta, ma non voglio arrendermi al fatto che diventi normale».
La risposta contiene un errore, una brutta strizzata d’occhio e soprattutto una bugia.
L’errore sta nel credere (ma è moda comune) che di fronte alla legge un sindaco debba godere di un trattamento diverso dagli altri cittadini. Quel “soprattutto mentre stai facendo un lavoro di responsabilità in nome della collettività” è un antipatico inno alla superiorità non previsto dalla Costituzione. Una presunta intoccabilità espressa in modo cortese.
La strizzata d’occhio sulla fuga di notizia dalle Procure (“so bene che non è la prima volta”) è un cavallo di battaglia del berlusconismo che forse sarebbe il caso, una volta per tutte, di contestualizzare e analizzare. Buttarlo lì, nel mezzo di una frase, è pubblicità subliminale.
Ma soprattutto conta la bugia: Beppe Sala non ha saputo dell’indagine a suo carico dai giornali semplicemente perché il suo avvocato d’ufficio, Luana Battista, non ha aperto la mail in cui la Procura le comunicava la proroga delle indagini come è consuetudine per tutti gli indagati (eh, sì, anche i sindaci). È proprio la Battista a confermarlo: “Non c’erano nomi noti nella prima pagina, sembrava una nomina come le altre”, ha dichiarato ai giornalisti. I giornali, quindi, hanno scritto di una notizia già pubblica e già comunicata anche all’indagato Sala. Che poi il sindaco di Milano (e i suoi legali) non aprano le mail e su questo ci costruiscano lezioni etiche, tra l’altro mentendo, è un atteggiamento che ognuno di noi avrà modo di giudicare.