“Ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,/ dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte”. Così Dante all’inizio della sua Comedìa. Io, ovviamente non ho l’ambizione d’essere lui, e quindi farò il contrario, così che non mi si possa accusare di pregiudizio negativo, dicendo prima il bene e poi le altre cose.
Nel disegno di legge contenente le “Disposizioni in materia di autonomia scolastica, offerta formativa, assunzioni e formazione del personale docente, dirigenza scolastica, edilizia scolastica e semplificazione amministrativa”, finalmente, gli insegnanti non sono più visti come peso, spesa, costo da tagliare, ma quali agenti pieni di risorse e personale da valorizzare e, nel caso, anche qualificare e premiare. È un cambio di paradigma fondamentale, dopo gli anni di cure alla Tremonti e Gelmini, e non era scontato come potrebbe apparire.
Rimangono delle perplessità. La prima è legata alle assunzioni dei precari: 100.000, secondo i calcoli fatti. Ma non dovevano essere 50 mila in più? Non c’era pure una sentenza della Corte di giustizia europea, per la serie “ce lo chiede l’Europa”? Cos’è, il Governo s’è fatto lo sconto? E poi, si sarebbero potute prevedere queste per decreto e il resto con disegno di legge, in modo da assicurare le immissioni in ruolo entro settembre. Se la trasformazione delle banche popolari richiedeva urgenza, ancor di più lo imponeva una tempistica tanto stretta, visto che l’apertura delle scuole è una data conosciuta e già fissata. Dice Renzi che non si è voluto procedere per decreto per riportare la discussione in Parlamento. Verrebbe da sorridere, pensando all’uso fatto finora di quello strumento, se non fosse seria la questione. Diciamo che, ai maliziosi, tale spiegazione potrebbe apparie un pretesto; per dirla nel gergo consono all’élite oggi al potere, sembra #labuonascusa.
Ma noi non siamo cattivi, e quindi confidiamo ne #labuonafede: dato che il partito del governo controlla, in pratica, entrambe le aule con ampi numeri e rassicuranti maggioranze, siamo certi che, alla fine, quel testo sarà licenziato in tempo per procedere, fin dal prossimo anno scolastico, all’assunzione e stabilizzazione di tutti i docenti necessari.
Però, ho un dubbio sotto questo profilo per il prosieguo della vicenda: se non si riuscisse ad approvare il testo in quella parte, che cosa succederebbe? Si continuerebbe con i precari, anche oltre i tre anni e a dispetto della sentenza dei giudici di Lussemburgo e della altre? E magari, se si riuscisse invece ad approvare il riconoscimento della personalità giuridica delle scuole, si taglierebbero le possibilità di ricorso per i lavoratori, che in quel caso dovrebbero superare il limite dei trentasei mesi non alle dipendenze del Miur, ma delle singole scuole giuridicamente autonome e individuali, non potendo più sommare i giorni fatti nell’istituzione X con quelli svolti nella Y?
Non capisco, poi, come si possa, pur nell’ipotesi di approvazione immediata delle misure contenute nel ddl, eliminare il ricorso alle supplenze brevi grazie all’istituzione dell’organico funzionale. Cioè, se si assenta l’insegnante di latino, lo sostituisce quello di educazione fisica e viceversa, in una logica per cui la necessità della supplenza si esaurisce nella ricerca di qualcuno da far sedere dietro una cattedra, e fa niente se per una settimana i programmi d’insegnamento si fermano?
Gli scatti di anzianità rimangono, ed è positivo: nella scuola non ci sono categorie, e quello è l’unico modo per riconoscere la professionalità acquisita col tempo. Solo che restano sulla carta, dato che con nella Legge di Stabilità sono stati bloccati fino al 2018, che ai nuovi assunti non si applicheranno e che, contemporaneamente, si sono eliminati pure gli adeguamenti per la vacanza contrattuale, portando le retribuzioni al di sotto dell’inflazione, e meno male che non cresce.
La chiamata diretta dei docenti da parte presidi è francamente una follia. Per tutti i motivi che immaginate, e perché, agli impieghi pubblici, “si accede mediante concorso”, ma non nel senso che una volta fatto, sceglie il dirigente chi gli piace di più fra gli idonei: una roba simile non la prevedeva nemmeno il ddl Aprea, in era berlusconiana. Così come è fuori dallo spirito del dettato costituzionale, e anche dalla lettera, per quel “senza oneri per lo Stato”, l’ipotesi di prevedere una detrazione fiscale per le spese sostenute nell’istruzione privata.
Ah già, che sbadato: dimenticavo che questa è la stagione dei grandi cambiamenti senza se e senza ma, che si stanno facendo quelle riforme, pure della Costituzione, che l’Italia e gli italiani attendono ormai da vent’anni e che chi critica è solo perché è un gufo rosicone e frenatore che ama la palude, giusto?