di Flavia Marzano
Il PNRR cambia, forse radicalmente. L’intesa in cabina di regia ha determinato il via libera alla sua revisione. Ma sono molte le criticità che restano sul campo. Una di queste, lo sviluppo del digitale nella Pubblica amministrazione, rischia di rimanere al punto di partenza.
In questa prospettiva, nella versione iniziale del Piano, il 27% è dedicato specificamente alla transizione digitale. La relativa strategia per l’Italia digitale, descritta nel Piano Italia Digitale 2026, si sviluppa su due assi che prevedono, oltre a 6,71 miliardi per le reti ultraveloci, anche 6,74 miliardi per la digitalizzazione della PA di cui 2,01 miliardi riservati ai servizi digitali e alla cittadinanza digitale (cfr. innovazione.gov.it).
Il governo e le pubbliche amministrazioni locali sono davvero consapevoli di quanti e quali interventi si possono attuare e quali sono le principali esigenze e necessità del Paese e/o dei territori?
Hanno capito la portata del cambiamento necessario e del loro dovere di cogliere ora questa opportunità?
Che cosa stanno attivando per raggiungere gli obiettivi prefissati nel Piano?
A che punto siamo?
Forse siamo ancora troppo indietro sia in termini di progettazione sia soprattutto in termini di realizzazione degli interventi e di relativa comunicazione.
La consapevolezza digitale è quindi un argomento cruciale per la cittadinanza, per la politica e per la pubblica amministrazione.
La cittadinanza digitale implica l’uso consapevole della tecnologia da parte di chiunque utilizzi computer, Internet e dispositivi digitali per interagire con la società a qualsiasi livello.
“Accesso alle tecnologie, identità digitale, diritto di prendere visione e di estrarre copia di dati, documenti e servizi digitali della Pubblica amministrazione costituiscono temi di grande rilevanza nella nostra società. La cittadinanza digitale si fonda sull’insieme dei diritti… e mira a semplificare il rapporto fra cittadini e Pubblica Amministrazione garantendo a tutti l’accesso ai servizi offerti in rete…” (cfr. agid.gov.it, Guida dei diritti della cittadinanza digitale, 2022).
DigComp 2.2, definisce il quadro delle Competenze Digitali per i Cittadini ed è “una base scientificamente solida e neutrale rispetto alle scelte tecnologiche per una comprensione comune delle competenze digitali e per la definizione delle politiche nel settore.”
È tuttavia molto evidente che le tecnologie sono in continua evoluzione basti pensare alle tecnologie emergenti “come l’intelligenza artificiale, la realtà virtuale e aumentata, la robotizzazione, l’Internet delle cose, la datificazione o nuovi fenomeni come la disinformazione e la misinformazione” che richiedono costante aggiornamento dei requisiti di alfabetizzazione digitale non solo da parte dei cittadini ma anche dei decisori politici a livello locale, nazionale ed europeo.
La politica dal canto suo deve effettuare scelte strategiche e di indirizzo consapevoli delle opportunità e dei rischi non trascurando l’esigenza di assicurare la sovranità digitale a livello europeo e senza dimenticare che tutte le scelte dovranno considerare anche gli aspetti di sostenibilità ambientale.
La pubblica amministrazione a sua volta è tenuta a fornire servizi innovativi a cittadini e imprese garantendo inclusione, accessibilità, usabilità e opportunità di partecipazione attiva anche tramite le tecnologie.
In questo contesto occorre innanzitutto tenere presente la normativa vigente e in particolare, per il suo carattere fondativo, il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (il cosiddetto Codice dell’Amministrazione Digitale o CAD), un testo unico che riunisce e organizza le norme riguardanti la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e dei relativi servizi. In questo quadro è fondamentale la figura del Responsabile per la transizione digitale e difensore civico digitale (art. 17) che ha la responsabilità di assicurare un’amministrazione digitale e aperta in ottemperanza ai princìpi ispiratori del CAD.
Purtroppo, anche se il CAD è in vigore da quasi 20 anni, per la disattenzione della politica e l’inerzia delle amministrazioni, alcune disposizioni fondamentali contenute nel CAD sono ancora largamente disattese.
Ad esempio, i siti internet delle pubbliche amministrazioni dovrebbero rispettare, ai sensi dell’articolo 53, i princìpi di: accessibilità, elevata usabilità e reperibilità, anche da parte delle persone disabili, completezza di informazione, chiarezza di linguaggio, affidabilità, semplicità di consultazione. Purtroppo, nella maggior parte dei casi esiste ancora una frazione significativa di errori che, ad esempio, non garantiscono l’accessibilità (vedi https://accessibilita.agid.gov.it/monitoraggio).
Altre due importanti prescrizioni del CAD su cui politica e amministrazione risultano spesso inadempienti e poco consapevoli sono quelle relative agli open data (dati aperti) e al software libero o a codice sorgente aperto (open source).
Gli open data sono cruciali per promuovere trasparenza, rendicontazione, partecipazione e coinvolgimento dei cittadini ma anche per ottimizzare le risorse garantendo migliore qualità delle decisioni politiche e amministrative.
Gli open data possono inoltre portare benefici all’economia; il rapporto “L’impatto economico degli Open Data”, realizzato dal Portale Europeo per gli Open Data (EU ODP), dichiara che il valore di questo mercato entro il 2025 oscillerà tra i 200 e i 334 miliardi.
L’adozione di software libero o a codice sorgente aperto (open source) favorisce non solo l’indipendenza da fornitori spesso non europei ma anche il riuso degli applicativi da parte di altre amministrazioni e quindi risparmio e collaborazione tra enti favorendo l’aumento di competenze interne a abbassando il rischio di lock-in (difficoltà a cambiare fornitore – cfr. Manuale di abilitazione al cloud, 4.4 Lock In).
Abbiamo visto che il CAD prevede una serie di impegni da parte della pubblica amministrazione per favorire la fruizione dei servizi digitali ma anche per garantire inclusione, accessibilità e diritto alla partecipazione democratica; esistono molti strumenti già disponibili la cui fruizione tuttavia è inficiata per molte persone dalla mancanza di formazione, quindi la politica deve fornire ai cittadini la cosiddetta alfabetizzazione digitale e gli strumenti per essere davvero cittadini digitali, superando i numerosi divari che non sono solo infrastrutturali, ma anche sociologici, economici, culturali, generazionali e di genere.
A questo proposito si ricorda che nel PNRR sono stati inseriti finanziamenti per la creazione di 3000 presidi fissi o itineranti (Punti Digitale Facile) dove i cittadini troveranno facilitatori digitali, personale che li aiuterà a utilizzare le nuove tecnologie.
Le risorse sono state ripartite tra le Regioni che a loro volta hanno la responsabilità di trasferirle ai territori.
Appare dunque evidente che la complessità del processo che va sotto il nome di trasformazione digitale richiede una capacità di gestione e di governo la cui responsabilità ricade in primo luogo su una classe politica la cui formazione in questo ambito è in molti casi purtroppo oggi ancora decisamente insufficiente e la cui consapevolezza del ruolo che deve svolgere in questo contesto è spesso quasi assente.
È compito urgente dei cittadini e dei partiti politici progressisti stimolare questa consapevolezza chiedendo che sia favorita e sostenuta da un’adeguata formazione.
È anche necessario rivendicare un adeguato livello di trasparenza di quanto si sta facendo, specificando dati e scadenze, per permettere la piena partecipazione a un processo che riguarda in prima persona ogni cittadino.