[vc_row][vc_column][vc_column_text]Pochi giorni fa a Budapest si è disputata la finale di Champions League. Ma come? — direte voi – non è il primo di giugno la finalissima fra Liverpool e Tottenham? Sì, la finale maschile si gioca questo sabato, quella femminile è, invece, già stata assegnata all’Olympique Lyon, che in Ungheria si è imposto sulla compagine blaugrana del FC Barcelona. Un 4–1 perentorio ha consegnato il quarto titolo consecutivo alla squadra francese. La stella del match, che non ha certamente tradito le attese, è stata Ada Hegerberg autrice di una tripletta. La giovane campionessa norvegese si è aggiudicata anche il titolo di caponnoniere della competizione con 15 realizzazioni.
Perché vi racconto tutto questo? Il motivo è semplice: dal 7 giugno al 7 luglio, in Francia, si disputerà il Mondiale di calcio femminile (parteciperà l’Italia, che dopo vent’anni si è qualificata), il quale sarà trasmesso (anche grazie alle azzurre) in chiaro sulla tv pubblica (non solo sul canale tematico sportivo). Al Mondiale, è noto da un po’, Ada Hegerberg non sarà presente, la vincitrice del primo Pallone d’Oro femminile della storia (nel 2018), la stella più lucente del calcio femminile non parteciperà per ‘divergenze’ con la Federazione norvegese (NFF).
Una questione di principio (e di diritti) a quanto pare, non si tratta di semplici questioni tecniche o di problemi col CT norvegese Martin Sjorgen. Ada accusa la NFF di mancare di rispetto a tutte le calciatrici, il non voler fare compromessi o ascoltare le richieste che riguardano tutte le donne nel calcio norvegese, quindi non solo salari ma anche rispetto e considerazione per un movimento che vuole svilupparsi e progredire, il quale è vittima di scarsa attenzione e assenza di progettualità, necessarie per qualsiasi sport che vuole aspirare al professionismo. La discriminazione tra il calcio femminile e quello maschile è ancora maggiore alle nostre latitudini. Ora il braccio di ferro fra Ada Hegerberg, che rinuncia alla vetrina del Mondiale, e la Federazione norvegese riaccende i riflettori sul tema. Qui in Italia oltretutto c’è stata, recentemente, una polemica anche sulle donne che commentano il calcio (che qualcuno non ‘approva’), segno che è una questione culturale che va affrontata a tutto campo. La famigerata Legge n. 91 del 1981 contiene delle discriminazioni fra uomini e donne nelle discipline sportive che classifica queste ultime come dilettanti anche quando praticano uno sport ad altissimi livelli. Non a caso nel 2016 Possibile, con Beatrice Brignone, presentò una proposta di legge per sopprimere le barriere tra sport maschile e sport femminile, favorendo un’equiparazione di trattamento nelle discipline sportive classificate professionistiche tra tutti gli atleti e le atlete.
Che non significa solo aumentare i salari ma garantire il godimento di diritti basilari come l’assistenza sanitaria, medicinali, assenze lavorative per infortunio e i contributi Inps.
Ce lo ha ricordato anche Carolina Morace nel recente libro ‘La prima punta’: a nulla servono le parole se i diritti non vengono messi per iscritto e se non corrispondono a reali investimenti nel movimento calcistico femminile.
Per questo Ada sta lottando, la Coppa più importante non si vince facendo più gol delle altre, a volte si vince non giocando, protestando, prendendo decisioni che mirano al bene collettivo.
Stefano Artusi
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