In questi giorni la campagna JOBS ACTA promossa da Acta, l’Associazione Consulenti Terziario Avanzato, per brevità detti Freelance, ha finalmente superato il muro dell’indifferenza mediatica. I suoi promotori sono bravi, preparati, creativi e determinati, ed ecco in pochi giorni la loro rassegna stampa allungarsi a dismisura, con servizi su Repubblica, LaStampa, il Corriere, La7, RaiTre.
Chi sono i freelance? Sono professionisti non dipendenti ai quali il sistema lavorativo italiano non offre protezioni efficaci: formatori, ricercatori, informatici, creativi e altre categorie di consulenti, operanti spesso al di fuori di Ordini e Albi professionali. Persone dunque che lavorano in autonomia, sia nel pubblico che nel privato, al cui interno convivono due destini professionali molto diversi. Da una parte coloro che sono Freelance per scelta propria — a tutela delle proprie competenze, del proprio potere contrattuale, della propria indipendenza –, dall’altra coloro che non hanno avuto scelta, poiché il datore di lavoro non li ha voluti assumere (le cosiddette “finte Partite IVA”).
Che cosa denunciano? Secondo Acta i sistemi di rappresentanza politica e sindacale tradizionali non sono in grado di garantire tutele adeguate al variegato mondo dei lavoratori autonomi. Le richieste sono di maggiore equità, attraverso riforme che moderino il carico fiscale pesantissimo, ed estendano i diritti in favore di questi lavoratori oggi per lo più invisibili.
Che cosa propongono? Abolizione dell’aumento dell’aliquota INPS al 33% previsto dalla legge 92/2012. Nelle situazioni di malattia e con riferimento agli eventi più gravi e ostativi dell’attività lavorativa, l’ampliamento del periodo di tutela e la ridefinizione delle indennità su valori che siano effettivamente sostitutivi del reddito. Estensione degli ammortizzatori sociali anche a chi perde il lavoro dopo essere stato autonomo. Regolamentazione del mercato attraverso la definizione di tariffe minime anche per le prestazioni di lavoro autonomo.
Richieste solide e sacrosante, che lasciano però aperta la domanda politica: che possibilità può avere una siffatta piattaforma di essere presa in considerazione e trovare vero spazio legislativo nella già travagliata vicenda del JobsAct?
Provate a rispondere guardando con le lenti del #cambiaverso, del presunto scontro generazionale tra il nuovo e il vecchio, i videomaker e i metalmeccanici, i giovani precari e i pensionati, i politici “innovatori” e i “gufi rosiconi”… Non ci riuscirete mai. Vi invito invece a osservare questa vicenda (e non solo questa) entro la cornice dell’incontro-scontro in atto tra due idee molto diverse di democrazia – attenzione che è uno scontro che non si consuma solo nel Pd, o in Italia, ma ci accomuna a un arco di umanità di dimensioni drammaticamente più grandi, dal continente asiatico al subcontinente brasiliano.
All’angolo destro la democrazia della “Reputation” – ideale di credibilità della Nazione che non accetta ritardi, inefficienze e anelli deboli, che Rispetta gli impegni e gli accordi macroeconomici e che soprattutto Riforma. Dio bono come riforma! (semicit.)
All’angolo sinistro la democrazia della Rappresentanza, madre e figlia delle Costituzioni moderne e incardinata su principi che si sono sviluppati tra il ‘700 e il ‘900: l’autodeterminazione dei popoli, la divisione dei poteri, le regole del dibattito parlamentare, la concertazione tra le parti sociali, le autonomie.
Il match è nella sua fase più acuta, e anche i Freelance farebbero bene a seguirlo. E’ di ieri notte ad esempio la notizia dell’ultima, drammatica vittoria della Reputation sulla Rappresentanza. Mentre il Governo incassava la fiducia sul JobsAct, il Parlamento perdeva Walter Tocci, che dimettendosi da senatore definiva con grande lucidità i termini con cui gli strumenti di rappresentanza sono oggi svuotati e superati nel #cambiaverso:
“Il potere esecutivo si impadronisce del potere legislativo per disporne a suo piacimento, senza alcun contrappeso istituzionale. Il Senato delega per sentito dire nelle televisioni. È l’anticipazione di un metodo che diventerà normale con la revisione costituzionale in atto.”
Ma se il metodo che si prefigura — la supremazia della Reputation sulla Rappresentanza — si applicherà anche al tema delle Partite IVA sollevato da ACTA, è facile prevedere che il Governo sceglierà di ignorare serenamente questa nuova richiesta di rappresentanza, di fronte al pingue gettito fiscale derivante da questa categoria di lavoratori, che andrà anzi aumentato e blindato. (La complessità della realtà cresce? Ci dispiace, ma noi dobbiamo semplificare: niente rappresentanza uguale niente rogne).
Al contempo, se un’altra politica #èpossibile, è necessario che qui ci lasciamo interrogare, provocare e mettere in discussione dalla piattaforma ACTA. Su questo come su altri temi, è fondamentale che sui diritti teniamo una posizione di attacco, non di difesa. Oggi, nella già dura contesa tra Governo e Sindacati, si inserisce un nuovo soggetto che porta con sé la possibilità di rinnovare la Democrazia della Rappresentanza con la ricchezza di nuove forme di vita, di lavoro, di produzione, di relazione. Un soggetto inatteso, imprevedibile, inesperto — e imperdibile — che mette in discussione cosa sia “sinistra” e che ci chiede di attrezzarci, di capirlo, di dare delle risposte politiche. È già nella nostra proposta (“Una migliore riforma del lavoro è possibile”) l’eliminazione chiara e senza appello delle forme parasubordinate del lavoro dipendente. Andiamo oltre. Lasciamoci ispirare dalle nuove professioni, e disegniamo un nuovo statuto dei lavoratori: equo, inclusivo e di sinistra.