Lo scorso 11 marzo abbiamo discusso di Patrick Zaki e della deriva autoritaria del regime egiziano entro la cornice di una riflessione più ampia sullo stato delle relazioni tra Italia e Egitto. Organizzato su iniziativa del Comitato Calamandrei di Firenze, l’incontro ha tracciato un bilancio critico della posizione adottata dal Governo italiano verso la sanguinaria autocrazia di al-Sisi, sottolineando come la cooperazione bilaterale in ambito energetico e militare sia stata rafforzata proprio all’intensificarsi della repressione nel paese, nonostante l’auto-assoluzione delle autorità egiziane sull’assassinio di Giulio Regeni.
La registrazione dell’evento è disponibile a questo link. Vi proponiamo di seguito una sintesi di alcuni spunti emersi durante il confronto.
La vicenda Zaki, spiega Elisabetta Brighi (professoressa di Relazioni Internazionali all’Università di Westminster), è emblematica dell’acquiescenza della comunità internazionale al riparo della quale il Presidente al-Sisi, ricevuto nelle capitali europee con i più alti onori, ha continuato a spargere sangue in un clima di totale impunità. Il consolidamento delle intese tra Roma e il Cairo non solo avvalla colpevolmente la morsa del regime sulla società egiziana, ma appare anche fuori fuoco rispetto agli stessi interessi strategici nazionali laddove il conflitto libico ha già appurato il segno discorde delle rinnovate ambizioni egiziane nel Mediterraneo. La controversa vendita delle due fregate Fremm mostra come le scelte di politica estera italiane siano state determinate da interessi economici particolari e non collimanti con l’interesse pubblico generale.
Laura Cappon (giornalista Rai 3) offre uno spaccato di cosa sia diventato l’Egitto dopo il colpo di stato militare che portò all’insediamento di al-Sisi nel luglio del 2013. La brutalità degli apparati di sicurezza, la loro pervasività nelle istituzioni e la sistematica repressione delle libertà fondamentali rendono oggi impensabile la mobilitazione della società civile, che pure dieci anni fa aveva spinto il paese verso un percorso di transizione democratica poi interrotto dalla contro-rivoluzione della gerarchia militare. Il livello di violenza senza precedenti testimonia tuttavia l’instabilità e la fragilità del regime.
L’oblio di migliaia di prigionieri di coscienza è l’obiettivo cui tende la strategia dell’intimidazione adottata dalle istituzioni egiziane. Riccardo Noury (portavoce di Amnesty International Italia) dettaglia l’istituto della detenzione preventiva cui è sottoposto anche Zaki: prassi odiosa che in assenza di garanzie giurisdizionali protrae la custodia cautelare in una carcerazione indefinita. Nell’Egitto odierno le sparizioni forzate si susseguono in modo incessante, lo stato di eccezione è diventato la norma, la Procura suprema dell’anti-terrorismo agisce come organo giudiziario principale. La condizione permissiva è tuttavia da ricercarsi nell’indulgenza dei Paesi europei che hanno fatto a gara ad armare la dittatura, malgrado l’abuso appariscente dei diritti umani.
“L’Egitto non è mai stato così in alto nella classifica delle autorizzazioni”, conferma Francesco Vignarca (Coordinatore campagne Rete Italiana Pace e Disarmo) analizzando l’andamento del flusso di armamenti italiani nel 2019. Il balzo in avanti nell’export militare è problematico sotto molti profili: non solo è in flagrante violazione della normativa nazionale e internazionale, ma contribuisce a rafforzare la spirale in cui è precipitato il paese. Non da ultimo, le commesse militari sono controproducenti anche se valutate dal punto di vista degli equilibri di forza nel Mediterraneo.
“L’Italia ha dato un segnale di resa profondo ed è necessario invertire la rotta”, commenta Noury. Quali gli strumenti allora su cui ricalibrare le relazioni con l’Egitto?
Richiamare l’Ambasciatore italiano, interrompere le autorizzazioni per l’esportazione di armamenti, sospendere la cooperazione nell’addestramento delle forze di polizia, rivedere gli accordi sui rimpatri sono opzioni percorribili. Al tempo stesso si pone il dovere di assicurare protezione a studenti egiziani che come Patrick studiano in Europa e non possono tornare a casa senza timore di cadere nelle maglie della repressione. Occorre internazionalizzare la questione dei diritti umani nelle sedi UE e ONU, ha continuato Elisabetta Brighi, per smascherare il volto del regime e depotenziarne la narrativa della stabilità su cui Sisi ha costruito le proprie fortune. È parimenti necessario smontare la caricatura di realismo spesso invocata nel dibattito pubblico per legittimare l’interlocuzione privilegiata con il Cairo riconoscendo che essa ha invece fornito una bussola sbagliata.
L’errore di fondo, evidenzia Laura Cappon, è l’assenza di una visione del Mediterraneo e di una corrispettiva linea di politica estera, che pure spetterebbe all’Italia per ragioni storiche e culturali, oltre che di collocazione geografica. Dal tema immigrazione al conflitto libico, l’approccio italiano si è rivelato spesso improvvisato e tardivo. Con il risultato, aggiunge Francesco Vignarca, di finire ostaggio dei contratti multimilionari messi sul piatto dal regime. Nel business delle armi, tuttavia, è chi compra e non chi vende ad esercitare leva politica.
Considerazioni che complessivamente richiamano l’urgenza di decostruire l’immagine perorata da al-Sisi in Occidente e porre le basi per una diversa lettura delle relazioni con l’Egitto, conclude Beatrice Brignone (Segretaria di Possibile). Da questa prospettiva, l’attenzione quotidiana sulla vicenda Zaki, ricorda Marco Vassalotti (autore di “Voglio solo tornare a studiare”), riflette l’impegno politico verso tutti i prigionieri del regime egiziano.
Per un approfondimento dei temi toccati durante la serata e qui solo brevemente accennati rimandiamo al video dell’incontro.
Alessandro Tinti
Comitato Firenze Possibile Piero Calamandrei