Durante la prima lezione di Diritto Pubblico solitamente viene spiegato il concetto di “fonti del Diritto”, cioè di quegli «atti o fatti che l’ordinamento giuridico abilita a produrre norme giuridiche» (Barbera, Fusaro, 2004). Alla lezione successiva, solitamente, viene spiegato il concetto di “gerarchia delle fonti”, secondo il quale non tutte le fonti del Diritto hanno pari forza, ma si potrebbero collocare in una piramide, al cui vertice sta la Costituzione (e tutte le fonti costituzionali) e, sotto di essa, le leggi e gli atti aventi forza di legge, per poi concludere, alla base della piramide, con i regolamenti governativi e ministeriali.
Tutti noi possiamo facilmente intuire come la gerarchia vincoli la produzione di norme giuridiche al rispetto della fonte sovraordinata: una legge dovrà necessariamente rispettare la Costituzione, dandone applicazione.
Matteo Renzi e Maria Elena Boschi devono aver saltato queste prime lezioni, perché non si spiegherebbe in alcun altro modo la geniale trovata di scrivere e far approvare (con voto di fiducia) una legge elettorale non adatta all’ordinamento costituzionale vigente, ma pensata per un futuro assetto costituzionale, e cioè quello delineato dalla riforma costituzionale. L’Italicum, infatti, è stato pensato, approvato, ed è entrato in vigore per la sola Camera dei Deputati, dato che il Senato — secondo la bocciata riforma costituzionale — avrebbe dovuto essere stato eletto dai Consigli regionali. Un rovesciamento logico totale, le cui conseguenze erano facilmente prevedibili in caso di mancata approvazione di una riforma che, ai tempi della fiducia sull’Italicum, neppure aveva concluso il proprio iter parlamentare (che terminerà un anno dopo circa).
Ricordate quando, soli pochi giorni fa, giustamente ci veniva detto che non poteva essere approvata una legge che disciplinasse l’elezione di quello che avrebbe dovuto essere il nuovo Senato, perché la riforma non era ancora in vigore (salvo sventolarne la scheda elettorale)? Ecco, praticamente, nel rispetto dei regolamenti parlamentari, il governo aveva fatto la medesima cosa, ma per la Camera: approvare una legge elettorale pensata nell’eventualità che la riforma costituzionale andasse in porto.
Ecco perché ora ci troviamo con due leggi elettorali profondamente diverse: l’Italicum alla Camera, che assicura una maggioranza stabilissima, e il Consultellum al Senato (un proporzionale che difficilmente semplificherebbe il sistema partitico). E tutto ciò tacendo sulla qualità (pessima) dell’Italicum e sul fatto che più e più volte, al termine della campagna, è stato dichiarato che la miglior legge elettorale mai pensata nella storia dell’umanità (forse è per questo che ce l’abbiamo solo noi) dovesse essere cambiata.
Ecco perché ora suona davvero molto strano e poco responsabile sostenere la tesi “affari vostri”. Perché chi ci ha portato con spregiudicatezza in questo caos ha un nome e un cognome, e avrebbe fatto meglio ad ascoltare chi invitava alla cautela, a percorsi meno forzati e condivisioni più ampie. Avrebbe fatto meglio a non rovesciare gli argomenti e le logiche costituzionali, credendo — pieno di sé — di poter cambiare tutto e da solo, a proprio piacimento e secondo le proprie intime convinzioni.