[vc_row][vc_column][vc_column_text]All’interno della legge di bilancio votata dalla Camera è passata la norma che prevede la “Tassa di sbarco” (da 2,5 a 10 euro) per i visitatori che giungono a Venezia in giornata non pernottando. La misura fiscale, si legge nell’art. 1 dell’emendamento “potrebbe conseguire effetto selettivo e moderare l’accesso delle cosiddette Grandi Navi alla zona lagunare”.
L’improbabilità e il dilettantismo con il quale si è pensata questa norma si esplicita fin da quest’ultimo enunciato: si spaccia come norma di contenimento della massa turistica una tassa atta a speculare sul fenomeno e non a contenerlo. Infatti chi prenota e decide di dedicare la sua vacanza a una crociera sa bene che spenderà, nel migliore dei casi, dai 2 ai 3mila euro a persona e in questo bilancio si capisce bene quanto ininfluente possa essere spendere 5 euro in più per scendere a Venezia.
La visione di questa tassa come “atto contenitivo e disincentivo alle Grandi Navi” è poi estremamente ipocrita: si riferisce infatti ai viaggiatori, mentre se si fosse voluto davvero disincentivare l’arrivo in città di questi abnormi, inquinanti e sovradimensionati transatlantici, si sarebbe dovuto tassare il loro passaggio, le compagnie, gli armatori, invece dei passeggeri, ma non c’è la volontà di prendere un provvedimento del genere.
Questa tassa, a parte la farraginosa messa in opera, che rischia di penalizzare chi già in città entra o si muove quotidianamente con difficoltà (costruiremo delle dogane? Controlleremo uno a uno chi arriva? Faremo gli agguati alle persone con il panino al prosciutto da casa? Obbligheremo gli abitanti a girare vestiti di giallo o di fucsia per distinguersi dai turisti giornalieri? E gli studenti che vengono da fuori e si sono dimenticati il libretto? E chi arriva in città per lavoro? Dovremmo tutti girare con in tasca il lasciapassare come nel film “Fracchia la Belva Umana”?) evidenzia un progetto politico aberrante: l’idea di far pagare un diritto acquisito, importante al pari di quello alla salute, che dovremmo dare per scontato al momento nel nostro venire al mondo: il diritto alla cultura, al visitare il proprio paese — e, dal momento che siamo nel 2019 e non ai tempi di “Non ci resta che piangere” con Benigni e Troisi, la nostra Europa — il diritto a vedere e visitare le nostre città che sono il più grande patrimonio e la più grande forma di crescita e creazione identitaria che esista.
Immaginiamo poi che questa norma diventi il “Paziente Zero”, di una malattia che si dilaghi e venga poi adottata da Firenze, Roma, Milano, Siena, Pisa, Bologna… che scenario distopico diventerebbe? Ci chiediamo: vogliamo davvero vivere in un mondo in cui si deve pagare per visitare, vivere, attraversare le nostre città?
Questa tassa, a parte smascherare l’ennesimo atto di speculazione sul turista senza davvero preoccuparsi se e come porre un tetto alle presenze (permettendo infatti e incentivando l’aumento della ricettività con la costruzione di ostelli a Mestre, alberghi al Tronchetto, progetti di raddoppi di terminal e pista del Marco Polo), null’altro è che un pezzo di un puzzle più ampio, che si innesta nei tagli a scuola, cultura, musei, università, senza contare il tentativo di blitz di tassazione delle Onlus.
Si continua a non capire che da questi elementi del vivere comune, dal loro accesso gratuito e dalla loro fruizione universale, e non altrove si crea il “cittadino”.
E voler fare il “Redditto di cittadinanza” senza avere a cuore il “Fare i cittadini” diventa pratica virtuosa ma inutile.
Pierpaolo Scelsi[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]