[vc_row][vc_column][vc_column_text]Bisogna crederci nella Pubblica amministrazione. Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica amministrazione 2017 – 2019: il documento — realizzato dall’Agenzia per l’Italia Digitale e dal Team per la Trasformazione Digitale – che per la prima volta indica il modello di riferimento della digitalizzazione della PA, non lo fa. La questione che emerge dal Piano, che per la condizione digitale in cui versa il paese abbisogna di ben oltre i tre anni attualmente previsti, è che sembra si sia rotto il patto tra PA e Mercato. L’assunto di partenza è: la PA locale non ce la fa, il mercato la può sostituire. Ma non il mercato fatto di piccole software house che burocratizzano. I problemi li risolvono i grandi player: Amazon (giova forse ricordare che Diego Piacentini, 55 anni, di cui 13 in Apple e 16 in Amazon, è Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale. Attualmente è ancora dipendente Amazon), Facebook, Google, Apple, Microsoft, IBM,… La sensazione è che noi si regali il petrolio a chi lo raffina e i soldi, storicamente, li fa proprio chi il petrolio lo raffina. Eppure ci sono PA che hanno realizzato eccellenze, è il caso per esempio di INAIL, INPS, Agenzia delle Entrate.
La digitalizzazione è una emergenza nazionale che nella PA si cerca di combattere in modo assurdo, a invarianza finanziaria. E che sia un emergenza è reso oggettivo dal DESI 2017 (Digital Economy and Society Index 2017) in cui l’Italia è al 25esimo posto. “Per quanto riguarda l’utilizzo delle tecnologie digitali da parte delle imprese e l’erogazione di servizi pubblici online – si legge nella descrizione a corredo degli indici — l’Italia si avvicina alla media. Rispetto all’anno scorso ha fatto progressi in materia di connettività, in particolare grazie al miglioramento dell’accesso alle reti NGA (Next Generation Access: è la nuova generazione di accesi, vale a dire accessi distribuiti su una rete in fibra ottica (FTTH o VDSL) : dai 20 mega di un’ADSL fino a 100 mega). Tuttavia, gli scarsi risultati in termini di competenze digitali rischiano di frenare l’ulteriore sviluppo dell’economia e della società digitali”. Nell’uso di internet: “le attività online – prosegue — effettuate dagli internauti italiani sono di molto inferiori alla media dell’UE. L’Italia si colloca al 27esimo posto su 28”. Male facciamo anche nei Servizi pubblici digitali in cui: “l’Italia registra buoni risultati per quanto riguarda l’erogazione online dei servizi pubblici (completamento di servizi online) e i dati aperti (open data), ma presenta uno dei livelli più bassi di utilizzo dei servizi di e‑government in Europa”. Siamo infatti 25esimi su 28 e in discesa.
In questo scenario ci sono alcuni progetti simbolo che fotografano le nostre difficoltà e dei quali bisognerebbe chiedere conto.
Il primo è l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), la banca dati nazionale nella quale far confluire i dati anagrafici di tutti i residenti in Italia e degli italiani residenti all’estero, che doveva essere realizzato entro il 2014. Nel 2017 si scopre che solo il comune di Bagnacavallo aveva aderito. Da marzo sono riprese le migrazioni verso ANPR e oggi, rispetto agli oltre 8.000, sono attivi sull’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente solo 10 Comuni: 230.000 abitanti…
Interessante anche il caso del Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN), la banca dati del settore agricolo e forestale, che costando 85 milioni di euro l’anno è già giunto a 780 in 10 anni. Ad oggi nessuno può valutare cosa è stato fatto, al punto che adesso Consip lo ha diviso in 4 lotti il cui primo è il monitoraggio del nuovo progetto. Questo Database è una infrastruttura fondamentale la cui assenza fa perdere contributi comunitari su agricoltura e dissesto idrogeologico.
Altro caso eclatante è quello legato alla alimentazione dei dati relativi alla gestione degli arrivi dei migranti. Ad oggi sono prodotti con fogli Excel zeppi di dati sporchi sui quali viene fatta una successiva lavorazione manuale che produce la mancanza di dati just in time.
In tutto ciò, nonostante l’articolo 17 dello sfortunato Codice della Amministrazione Digitale, che cambia ogni 3–6 mesi, l’ultima delle quali l’11 dicembre, manca evidentemente chi svolge il compito di pungolo e monitoraggio. E’ evidente che non basta la “Commissione Parlamentare di Inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, è necessario assegnare maggiori poteri a Consip e all’ANAC.
Anche in questa legge di bilancio continua a sfuggire quanto i servizi digitali siano fondamentali per la crescita del paese: solo l’ultima manifestazione del deficit di sensibilità nazionale sul tema. Significativo, in questo senso, è un esempio desunto da “Industria 4.0” che non prevede l’assegnazione di vantaggi fiscali per le aziende che mettono i propri dati sul cloud, ma a quelle che lo forniscono il cloud. Forse perché la rappresentanza degli industriali del settore è fatta solo da quelle grandi aziende.
Quello dei servizi digitali è davvero un tema centrale la cui portata in Italia sfugge. Eppure è ormai chiaro che nello scenario globale i dati nel XXI secolo hanno la stessa valenza del petrolio nel ventesimo, così come le Big Four nella economia mondiale oggi sono dominanti quanto lo erano le Sette Sorelle all’epoca. Oggi, infatti, esistono entità che prendono il possesso del nostro sentire, congelato attraverso i comportamenti che realizziamo utilizzando i nostri devices. E quindi al punto (iniziale) in cui siamo, quanto è peregrino l’interrogativo di Raffaele Barberio, presidente di Privacy Italia: “Ma non è questa la guerra commerciale più grande della storia?”.
Armando Mirabella[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]