La guerra funziona così.
Il 2 marzo 2022 chiedevamo l’intervento di una forza di interposizione fra la Russia, stato aggressore, e l’Ucraina, stato aggredito, in applicazione, anche forzata vista la presenza della Russia nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dell’art. 1 del trattato istitutivo delle Nazioni Unite.
“I fini delle Nazioni Unite sono: mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace.”
Non è stato fatto.
Invece si è preferito forzare l’art. 5 del trattato NATO, non sussistendo le condizioni per un intervento (di fatto tutt’ora in corso) in difesa legittima di uno Stato aderente, non essendo tale l’Ucraina.
Si è preferito forzare l’interpretazione della Legge n. 185/1990, che vieta la fornitura di armi a Paesi in conflitto.
Si è preferito forzare la logica, con una propaganda che ha sostenuto dall’inizio la teoria che se si vede un tizio grande e grosso aggredire un bambino la scelta debba essere quella di armare (sempre di più) il bambino stando a guardare, e non, invece, mettersi in mezzo, come farebbe, o dovrebbe fare, qualunque adulto.
E tutto questo al netto di una valutazione obiettiva sul conflitto, sulle sue cause, sugli interessi in gioco, sul suo pregresso percorso nel tempo, come se tutto fosse iniziato dalla sera alla mattina il giorno della (illegittima) invasione.
Si è preferito schierarsi da una parte con una scelta politica invece di schierarsi in mezzo, a difesa delle persone e non delle nazioni, con una scelta (veramente, per una volta) umanitaria.
Dopo 16 mesi la guerra ha portato solo distruzione e morte, profughi e crisi economica mondiale, che potevano essere evitati solo con una interposizione di forze di pace.
Dopo 16 mesi c’è ancora una (ampia e bipartisan) maggioranza parlamentare che sostiene che l’unica pace giusta è la vittoria ucraina e la riconquista da parte ucraina dei territori annessi dalla Russia, quindi una situazione oggettivamente diversa da quella in essere all’inizio del conflitto.
Che va bene la pace ma prima si vince la guerra, una evidente contraddizione in termini.
Dopo 16 mesi le armi fornite dai Paesi NATO da “difensive” sono diventate di ogni tipo, compresi i caccia F16 la cui consegna qualche mese fa era considerata impossibile in quanto atto diretto di guerra e fonte di escalation militare, mentre il supporto di truppe è a un passo.
Ma la guerra funziona così, la Russia bombarda impunemente i civili ucraini, e la risposta, accettata come giusta dai sostenitori del conflitto e così trasmessa all’opinione pubblica, sono attacchi ai civili russi.
La guerra funziona così, è stata fatta saltare una diga, le uniche certezze sono i morti, la distruzione, l’immenso danno ambientale. L’attenzione però si concentra unicamente sul gioco delle colpe tra le parti che si rimpallano la responsabilità.
Il rischio atomico è oggettivamente più vicino.
Dopo 16 mesi addirittura il Parlamento Europeo vota per finanziare l’aumento della produzione di munizioni e missili destinati all’Ucraina, attingendo tra l’altro anche al PNRR e ai fondi di coesione. Una decisione che sta fuori da ogni logica, oltre che dai valori e dalle disposizioni dei trattati istitutivi.
Dopo 16 mesi non si vede la fine del conflitto, anzi, si delira di offensive e controffensive, che offendono solo la ragione.
Chi chiede e si adopera per la pace, fosse anche il Papa, è considerato un complice di Putin, viene ricevuto per dire, no grazie, prima la controffensiva.
Quanti mesi o anni ancora dovremo aspettare, sperando che il conflitto non si estenda e non vengano usate armi nucleari?
Quanti morti?
Quanti profughi?
Quanti miliardi dovranno essere buttati nel tritacarne bellico (al netto degli interessi economici di chi vende armi, energia, ricostruzione) invece di essere spesi per le necessità dei vivi, che non arrivano a fine mese?
Ci sono interessi di questo tipo rappresentati nel Governo e nel Parlamento italiani?
Che senso ha l’adesione dell’Italia al trattato istitutivo delle Nazioni Unite, anzi, che senso ha il trattato stesso, se viene svuotato del suo principio fondativo?
Perché il nostro Parlamento non risponde a queste domande, anzi, perché il porre queste domande, anche da parte di chi ha sempre osteggiato duramente Putin, è considerato sovversivo e non, invece, banale esercizio di democrazia?
Perché nessuno se le pone, anche individualmente, accettando ormai acriticamente e passivamente la situazione, in balia di personaggi che addirittura affermano che il contrario di guerra non è più pace ma resistenza?
Cosa siamo diventati?
Dove pensiamo di andare?
A quale prezzo per i nostri figli?