Ci risiamo. Pensavamo di aver dimenticato i tempi in cui tante amministrazioni locali (cittadine, provinciali, regionali) utilizzavano strumenti amministrativi — appunto — per ledere diritti costituzionalmente garantiti, come se fosse sufficiente un’ordinanza del sindaco di turno per passare sopra alla Costituzione. Era quella l’epoca delle “ordinanze anti-kebab”, che assumevano diverse sfaccettature, fino a diventare ordinanze contro le insegne etniche e contro i phone-center.
Alle volte si è addirittura arrivati a condizionare le politiche sociali regionali alla (lungo)residenza sul territorio della Regione. E’ avvenuto per l’accesso al fondo di sostegno per le locazioni, o per l’accesso gratuito ai mezzi pubblici regionali per le persone totalmente invalide, e diversi altri. In alcuni casi ci sono già state pronunce che sanciscono l’incostituzionalità della norma (è il caso del trasporto pubblico per le persone invalide), mentre altri casi sono stati rinviati al giudizio della Corte Costituzionale.
Il punto è quello esplicitato all’inizio: esistono diritti della persona che vanno garantiti alla persona in quanto tale, per cui requisiti di altro tipo rischiano di ledere nella sostanza questo diritto.
Nonostante ciò, le norme amministrative in odore di discriminazione sono tornate di moda, grazie alla legge approvata dal Consiglio regionale del Veneto che dà la priorità di accesso agli asili nido comunali ai «figli di genitori residenti in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni o che prestino attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni».
Come tutte le misure di questo tipo, l’obiettivo di colpire i cittadini stranieri ha conseguenze stupide e ampiamente prevedibili: se la giovane coppia è italianissima ma cresciuta in Lombardia, e si trasferisce in Veneto per lavoro, che si fa? E se invece solo uno dei genitori è residente da quindici anni in Veneto e l’altro si è trasferito in Veneto recentemente che si fa?
Le norme possono stabilire, rispetto al godimento dei diritti, delle differenze tra le persone solo se la differenza è “ragionevole” cioè se c’è un motivo obiettivo che giustifica la differenza, in conformità allo stesso art. 3, comma 2 della Costituzione. Siamo invece di fronte a una discriminazione odiosa e stupida, che con lo scopo di colpire i cittadini stranieri finisce col colpire tutti.