Nessuna visione a lungo termine, nessuna proiezione in avanti: la manovra del governo è senza futuro. Guarda al qui ed ora, al consenso facile, alle urne. Con una scientifica applicazione del manuale Cencelli alle singole proposte e alle singole dotazioni di spesa. La grande cecità (cit.) che ci colpisce tutti, come un incantesimo, impedisce di vedere l’enorme onda dei cambiamenti che incombe alle nostre spalle.
Clima
Gli studi sul cambiamento climatico affermano che nei prossimi cento anni nel nostro paese potrebbe verificarsi un aumento della temperatura compreso tra gli 1,8 e i 5,4 gradi centigradi. Il nostro territorio sarà soggetto a pesanti modificazioni. Non solo non vi è alcun dibattito nella sfera pubblica, ma si continua a insistere sui consueti modelli di sviluppo. Il ministro Savona, in un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, spiega che la crescita del paese deve passare attraverso la riattivazione del settore delle costruzioni, da sempre traino della nostra economia. Non aggiunge altro, il ministro del piano B: non un cenno al fatto che altro cemento non farebbe che peggiorare le condizioni idrogeologiche del nostro paese, non farebbe altro che renderlo più fragile. Savona scrive al giornale che i conti sono in ordine, che il debito si abbatte con la crescita, con la crescita al 3%. Scritta così, sembra una mera invenzione. Mentre i segni dei mutamenti del clima sono sempre più pressanti e lo scenario è quello di esaurimento delle risorse abiotiche (terra, acqua, aria), il ministro degli Affari Europei indica un modello di sviluppo — fatto di cemento e consumo di suolo — giunto ormai al capolinea. Nessun piano B, in questo caso.
Energia
La manovra non è una sfida all’Unione Europea, dice il presidente del Consiglio dei Ministri Conte, abbarbicato in un tentativo di spiegazione della Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza. No, non è una sfida all’Europa. È una sfida contro se stessi, contro il nostro stesso futuro. Gli investimenti non verranno fatti sulla maggiore efficienza energetica, saranno forse fatti per tenere in piedi un’infrastruttura viaria (strade, ponti, cavalcavia) che cade a pezzi. Di energia non si scrive, non si parla. Continueremo a generare il 70% del fabbisogno energetico nazionale (320,5 TWh nel 2017, dati Terna) tramite la produzione termoelettrica (carbone, petrolio, gas), mentre la quota parte proveniente dall’idroelettrico è destinata a calare a causa del cambiamento climatico che incide sulla disponibilità di acqua e riduce l’estensione dei ghiacciai. Nessun nuovo capitolo di spesa è previsto per investire in nuovi metodi di produzione dell’energia da fonti rinnovabili.
Equità fra le generazioni
In Italia l’1% più ricco detiene il 25% della ricchezza. Ma il potenziale redistributivo della tassazione è nuovamente messo a pregiudizio. La flat tax voluta dalla componente leghista è discriminatoria: distingue fra redditi che non hanno realmente una diversa capacità contributiva. Il reddito di cittadinanza è una forma di reddito minimo garantito (lo avevamo scritto tal quale nel Manifesto di Possibile e non è una nuova invenzione ma un modello abbastanza consolidato negli schemi della flexsecurity), tuttavia viene finanziato facendo deficit e non tramite fattori di redistribuzione del reddito. Nel nostro paese nessuno paga la tassa di successione, men che meno si paga sul possesso di immobili di valore adibiti a prima casa. L’ascensore sociale è bloccato perché non vi è alcuna smobilizzazione della ricchezza. Questa manovra continua a premiare le generazioni più anziane, collocate e protette, a discapito dei giovani, ai quali non va neanche un euro. Quota 100 non tiene in alcuna considerazione lo scenario anagrafico (e produttivo) dei prossimi venticinque anni. È una riforma che guarda ai pensionandi dei prossimi cinque anni, null’altro. Non si sono tenuti in minima considerazione gli scenari del futuro, specie ora con i flussi delle migrazioni completamente bloccati. Con una popolazione che invecchia, le persone in età attiva (15–64 anni) sono previste in diminuzione del 6% nel decennio 2020–2030, con ulteriori riduzioni fino alla fine del 2045, quando tale indicatore sarà sceso sotto i 30 milioni di persone. Non è solo la sostenibilità finanziaria ad essere messa a pregiudizio, ma è soprattutto la sostenibilità sociale, vale a dire l’entità degli assegni che verranno pagati in futuro. I pensionati del 2040 saranno destinati alla povertà assoluta perché i contributi versati non saranno sufficienti a garantire loro importi sufficienti a riprodurre le condizioni di una vita degna.
Digitale e robotizzazione
Dei dieci miliardi disposti per il reddito di cittadinanza, almeno due saranno indirizzati alla riorganizzazione dei centri per l’impiego, tuttora in una situazione confusionale lasciata in eredità dalla cancellazione delle Province e dal Jobs Act. Ma la loro ridefinizione è lontana dal venire attuata: gli assegni verranno erogati senza che una vera strategia sia stata messa in campo per ristrutturare i CPI. Alla base di un loro buon funzionamento vi è la gestione dei dati, che dovrebbe essere unica e condivisa fra Regioni, Ministero del Lavoro e INPS. Un unico database che contenga la storia lavorativa, le competenze, i fabbisogni formativi dei lavoratori che accedono al reddito di inclusione. Ma siamo ben lungi dall’avere una architettura informativa che parli la stessa lingua. Il Team per la Trasformazione Digitale del paese ha lavorato silenziosamente sull’Anagrafe digitale nazionale, sullo SPID (l’identità digitale univoca da impiegarsi per accedere ai servizi della pubblica amministrazione), ma il lavoro è incompleto. Il piano triennale di lavoro del team, dal 2017 al 2019, prevedeva 67 azioni e 108 obiettivi. Ne sono state realizzate 22, mentre di obiettivi raggiunti sono solo 44. Il ritardo nello sviluppo digitale del paese è biblico. Dopo il boom digitale, stanno arrivando la quarta, la quinta e la sesta rivoluzione industriale tutte insieme (robots, IA, big data e IoT) e stanno investendo ogni settore lavorativo conosciuto, scrive Stefano Artusi sui Quaderni di Possibile. Le stime degli istituti di ricerca dicono che almeno il 50% degli impieghi in tutti i settori produttivi e di servizi, in tutto il mondo, rischiano di essere rimpiazzati dai robots (automazione, IA, ecc) nel giro di due, massimo quattro decenni. Dinanzi a questa grande nuova trasformazione, il governo non è in grado di presentare alcun antidoto. Nessun nuovo investimento in formazione universitaria e ricerca, fondamentale per poter guidare questo processo (e non essere guidati).
Deficit
Molti a sinistra plaudono alla violazione del tabù del deficit da parte del governo giallo-verde. In fondo il 2,4% in tre anni non è diverso dalla proposta fatta lo scorso anno da Matteo Renzi (2,9% per cinque anni). Non è diverso dal risultato conseguito negli anni passati dai precedenti governi (2015: 2,6%; 2016: 2,5%; 2017: 2,4%), tuttavia il dato a consuntivo non è mai stato in linea con la programmazione indicata nel DEF. Tra il 2013 e il 2016 — per l’anno successivo — è sempre stato pianificato l’1,8% di rapporto deficit/PIL e si è sempre sforato tra il 3% e il 2,5%.
Fare deficit è una scelta politica. Fare deficit per alimentare condoni e defiscalizzazioni dei redditi alti è una scelleratezza. Null’altro. Si può fare meglio e diversamente. Ad esempio: la spesa militare nel 2018 tocca quota 25 miliardi di euro (due volte e mezza la spesa per il reddito di cittadinanza). Non è chiaro se la Legge di Bilancio apporterà dei tagli al Ministero della Difesa, mentre già si annunciano riduzioni di capitoli di spesa relativi alla Sanità e alle detrazioni per i mutui (per una cifra intorno al miliardo di euro). Una parte del bilancio pubblico sembra sempre inattaccabile, quale che sia il colore del parte politica al potere.
Eppure una legge di bilancio senza nuovo deficit è possibile, lo abbiamo dimostrato con il Manifesto. L’insieme delle sue misure valeva ben 40 miliardi di euro e ciascuna di esse recava le proprie coperture, ottenute mediante una maggiore progressività fiscale e una revisione profonda della spesa, a cominciare dai sussidi ambientali dannosi. È la serietà del decisore politico ad essere in pericoloso deficit.