È un bollettino quotidiano, quello dei disastri e degli sconvolgimenti che porta con se l’emergenza climatica. La Groenlandia che fonde a ritmi forzati, la Siberia letteralmente in fiamme, il ghiacciaio del Matterhorn che si fa fiume impetuoso e rischia, nel lasciare per sempre le montagne che lo hanno ospitato per millenni, di portarsi via anche tutto ciò che sta a valle, ora in Svizzera, la prossima magari da noi.
Oggi tocca alla Marmolada, che ci dicono tra 25 anni non ci sarà più, e con lei tutti i ghiacciai delle Dolomiti. Stavolta, però, la notizia mi non mi porta a pensare al futuro con un po’ di angoscia, o al presente con una certa frustrazione per un dibattito ancora fermo a chi ascolta la scienza contro chi dice “ma in maggio faceva freddo”, come ricorda in un efficacissimo video Andrea Lorenzon di Cartoni Morti.
La Marmolada che tra 25 anni non ci sarà più mi riporta indietro di 25 anni e anche di più, a quando la Marmolada era sinonimo di estate. Quelle estati lunghe che non sembravano finire mai, in cui faceva caldo, ma non così dannatamente caldo come ora, e bastava un ghiacciolo preso al chiosco, una Marmolada appunto, a dare una svolta a quelle lunghissime giornate al mare.
E mi riporta — ero un bambino fortunato — a quando invece andavamo in montagna, proprio su quelle Dolomiti dove sono andato ogni anno da quando avevo neanche tre mesi, in inverni in cui sparare la neve artificiale era un esotismo rarissimo, in estati fresche e in cui camminando per i sentieri di montagna la neve si vedeva ancora, eccome, a proteggere quei ghiacciai che ci sembravano eterni e che davamo per scontati. E sì, certo, anche 25 anni fa c’erano gli acquazzoni estivi, ma non te la dovevi fare sotto ogni volta che sentivi un tuono, non pensavi a cosa sarebbe finito allagato e sommerso ogni volta che vedevi un fulmine squarciare quegli orizzonti amplissimi.
È forse un segno di questi ultimi singulti della follia del nostro tempo, che le madeleine proustiane siano nel mio caso sostituite da una granita confezionata e prodotta su scala industriale. Lo è di sicuro il fatto che mentre il dolcetto inzuppato nel te’, o nell’infuso di tiglio della zia, dava a Proust «un delizioso piacere, isolato, senza nozione di causa», e gli rendeva «indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita», per me il richiamo della Marmolada ha l’effetto opposto, il ricordo di quel passato in fondo recente ma che sembra lontanissimo mi fa sentire mai come prima «mediocre, contingente, mortale». La Marmolada, una volta che il ghiaccio si era fuso, non era che uno sciroppino troppo zuccherato che ti lasciava un sapore un po’ acido, in bocca. Ecco, quella granita non la fanno nemmeno più, ma leggendo del destino inesorabile del ghiacciaio, il sapore che sento è proprio quello.
Ma in maggio ha fatto freddo, quindi sarà solo uno scherzo della memoria.