La piazza, l’opposizione, la prospettiva

In mez­zo al cam­bia­nien­te del gover­no, c’è sta­to un cam­bia­men­to. Un fat­to nuo­vo, ine­di­to, che arri­va da Cata­nia, da Mila­no, attra­ver­sa i social e, for­se, scuo­te i Palaz­zi roma­ni. Un ger­mo­glio di fine esta­te, in una gior­na­ta che non è sta­ta come tan­te altre, nono­stan­te fos­se feria­le. Per un moti­vo, poli­ti­co e cul­tu­ra­le, tutt’altro che secon­da­rio: ha visto la nasci­ta dell’opposizione, fino­ra un ogget­to miste­rio­so o al mas­si­mo un ogget­to dei desi­de­ri. Un even­to che acca­de, dav­ve­ro, dopo mesi di navi­ga­zio­ne a vista, di appel­li ina­scol­ta­ti, di spe­ran­ze disat­te­se. E la pre­oc­cu­pa­zio­ne è tan­gi­bi­le nei gior­na­li più vici­ni al sal­vi­ni­smo a 5 Stel­le: lo si com­pren­de dal ner­vo­si­smo deri­so­rio, emer­so in arti­co­li ed edi­to­ria­li, tipi­co di chi ini­zia a per­ce­pi­re un cam­bia­men­to, vero, nel­la par­te poli­ti­ca avver­sa. Non è sta­ta una pas­se­rel­la di dichia­ra­zio­ni, una sfi­la­ta di figu­ri­ne, una con­ta tra par­ti­ti: la mani­fe­sta­zio­ne di Mila­no, in par­ti­co­la­re, ha dimo­stra­to che il Pae­se non è tut­to con chi vuo­le un’Italia in sal­sa unghe­re­se. Per­ché fin dal­la not­te dei tem­pi l’umanità ten­de ad assu­me­re come model­lo una real­tà miglio­re, non una peggiore.
Insom­ma, dall’altra par­te, sul ver­san­te oppo­sto all’alleanza capeg­gia­ta dal Sal­vi­ni con il signor­sì di Di Maio e soci stel­la­ti, ci sono degli ita­lia­ni che disap­pro­va­no la Pro­pa­gan­da Con­ti­nua, la comu­ni­ca­zio­ne che sovra­sta l’azione sem­pre e comun­que, sen­za alcun riguar­do per gli ulti­mi, le per­so­ne più sfor­tu­na­te. Quel­le che paga­no la “col­pa” di esse­re nati nel­la par­te più pove­ra del pia­ne­ta. La mobi­li­ta­zio­ne di piaz­za San Babi­la ha rove­scia­to lo sche­ma tra­di­zio­na­le, fat­to di poli­ti­ci­smo e di dibat­ti­to al chiu­so di una segre­te­ria: non più, dun­que, una sini­stra che met­te insie­me le sigle, incol­la i pez­zi, ma offre una pro­spet­ti­va poli­ti­ca in cui le sigle e i sin­go­li pez­zi, asso­cia­zio­ni e movi­men­ti, si ritro­va­no sul­le visio­ni comu­ni. Sul­le “cose” da fare, in pri­mis il rispet­to dei dirit­ti uma­ni, del­la Costi­tu­zio­ne e dei valo­ri repub­bli­ca­ni, che il mini­stro dell’Interno — con il silen­zio assen­so dei col­le­ghi di gover­no — sta col­pen­do con una serie di for­za­tu­re mai cono­sciu­te dal Dopo­guer­ra a oggi. Il “prin­ci­pio atti­vo” del­la mani­fe­sta­zio­ne mila­ne­se ha cam­bia­to lo sce­na­rio: c’è sta­to un sen­ti­men­to di con­di­vi­sio­ne e di rispet­to reci­pro­co pur nel­le dif­fe­ren­ze e nel­le dif­fi­den­ze, per­ché non si può imma­gi­na­re di dire subi­to scur­dam­me­ce o’ pas­sa­to. Un incon­tro che ha fat­to bene a miglia­ia di cit­ta­di­ni: in mol­ti han­no potu­to con­sta­ta­re le asso­nan­ze con i loro vici­ni di par­ti­to. L’appuntamento ha per­mes­so di avvia­re quel pro­ces­so di supe­ra­men­to del­le dif­fi­den­ze di cui sopra.
Pos­si­bi­le, in que­sto muta­men­to, ha potu­to bene­fi­cia­re del­la sua pla­sti­ci­tà: si è posto come col­lan­te, attra­ver­so l’appello di Giu­sep­pe Civa­ti, sen­za riven­di­ca­re pater­ni­tà, né “met­te­re cap­pel­li” poli­tici. Ha chia­ma­to a rac­col­ta tut­te le ener­gie del Pae­se che non si rico­no­sco­no in Sal­vi­ni e nei suoi veri vice, Di Maio e Toni­nel­li, regi­stran­do una col­la­bo­ra­zio­ne spon­ta­nea e sin­ce­ra che ha visto ade­ri­re mili­tan­ti, sim­pa­tiz­zan­ti e comu­ni cit­ta­di­ni. Al ser­vi­zio dell’opposizione e di una pro­spet­ti­va nuo­va e con­vin­cen­te, per con­tra­sta­re ciò che c’è e supe­ra­re ciò che è sta­to. Una pro­spet­ti­va che può solo matu­ra­re se il movi­men­to di cui si sono visti i pri­mi pas­si attra­ver­se­rà il Pae­se e sarà rap­pre­sen­ta­to in Parlamento.

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Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.