[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1494946728720{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Non c’è niente di cui stupirsi, ma proprio niente. La cronaca ci racconta quotidianamente di casi di malaffare legati alla gestione dei migranti, su piccola o larga scala, così come quotidiani sono gli sforzi di chi, occupandosi di accoglienza, denuncia le distorsioni create dal sistema emergenziale attraverso il quale gestiamo oltre l’80% dei posti disponibili. Solo pochi giorni fa denunciavamo la rimozione di questi dati dal sito del Ministero dell’Interno: dati fondamentali, perché restituiscono la dimensione della gestione straordinaria, esattamente laddove si collocano spazi per chi ha intenzione di fare business sull’accoglienza, magari perseguendo profitti leciti o magari perseguendo profitti illeciti, come emerso nel caso del Cara di Crotone.
Dalle ricostruzioni emerge chiaramente e plasticamente uno schema di estrazione di risorse pubbliche da far confluire verso clan affiliati alla ‘ndrangheta e una capacità di infiltrazione nel tessuto sociale, e quindi di controllo elettorale, tipico dei sistemi mafiosi.
Possiamo descriverlo così: la prefettura indice una gara per la gestione di un centro di accoglienza grandissimo, in grado di ospitare un migliaio persone, ponendo come base d’asta (leggiamo il bando 2012) 30 euro pro-capite pro-die a ospite per tre anni, per un totale di 28 milioni di euro. Tanti, tantissimi soldi, soprattutto se, come riscontrabile dal capitolato d’appalto, l’ente che si assicurerà la gestione della struttura non sarà tenuto né a offrire servizi per i quali si indicano dettagli puntuali e neppure a una rendicontazione puntuale. Di conseguenza, oltre a gestire una massa ingente di denaro che si può far ricadere a cascata sul territorio attraverso sistemi di subappalto che possono aprire a dinamiche di dipendenza e controllo (anche del voto, come sembra trasparire dall’inchiesta riguardante il Cara di Mineo), si aprono anche spazi per veicolare risorse verso altri centri di potere, anche di natura criminale.
Venendo al centro di accoglienza di Crotone, il bando 2012 prevedeva la gestione di 853 ospiti nella medesima struttura, sita in località Sant’Anna, dei quali 601 in un Centro di accoglienza (Cda), 128 in un Cara e 124 in un Cie. Nella scheda riguardante l’offerta tecnica per il Cda (601 posti), così come quella relativa al Cie (124 posti), non si trova traccia di corsi di lingua italiana mentre si specifica che «particolare riguardo sarà prestato a tutte le situazioni che richiedono interventi specialistici come quelli che possono essere necessari nel caso di vittime di tortura, vittime di violenza/abusi, minori, portatori di handicap, portatori di disagio mentale o sociale e anziani. In particolare, dovrà essere previsto l’impiego di mediatori linguistico culturali donne nel caso di ospiti femminile, specialmente se appartenenti a categorie vulnerabili». Tutto qua, per persone in stato di estrema vulnerabilità. Al contrario, nella scheda tecnica riferita al Cara (128 posti) si prevede l’insegnamento della lingua italiana «per un monte ore proporzionale al numero di ospiti presenti nel centro». Criterio di aggiudicazione: offerta economica più vantaggiosa.
Nel 2016 è stata nuovamente messa a gara la gestione del centro di accoglienza, per 1246 posti: 1216 per l’Hub regionale e 30 per il Cie. Questa volta già nell’avviso pubblico viene citato, solo per l’Hub, il servizio di insegnamento della lingua italiana, «garantito per un monte ore proporzionale al numero di ospiti presenti nel centro». La dotazione minima di personale per l’insegnamento dell’italiano viene quantificata in 72 ore settimanali, per insegnare l’italiano a 1216 persone provenienti dai paesi più disparati e dalle situazioni più differenti. La base d’asta viene aumentata a 35 euro. L’importo totale dell’appalto sale a quasi 16 milioni di euro annui.
Di fronte a un’offerta non esattamente stringente nei vincoli di trasparenza e nelle richieste tecniche, che prevede la sorveglianza della prefettura e cioè dello stesso ente affidatario, di fronte a un ammontare di denaro tanto elevato, è facile aspettarsi che molti saranno attirati e non sempre per perseguire fini umanitari, esattamente come la cronaca ci sta raccontando.
A prescindere dai risvolti giudiziari, non è sufficiente prendere in esame solamente i grandi centri. Sono tanti i centri di accoglienza straordinari (Cas) che purtroppo vengono gestiti in una maniera non ottimale, perché non vengono erogati servizi di base, perché non vi è una presa in carico individuale della persona, perché si innescano dinamiche conflittuali con la popolazione residente.
Il tratto comune di questa gestione è, appunto, la gestione emergenziale e straordinaria, che negli ultimi anni è letteralmente esplosa, a fronte di una sostanziale stabilità dei posti disponibili nel Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) che, come dice il nome stesso, è un vero e proprio sistema, coordinato a livello centrale, cresciuto dal basso nel tempo, e che garantisce pesi e contrappesi tipici di un sistema, con una rendicontazione puntuale, con parametri di accoglienza definiti a livello centrale (sia rispetto all’erogazione dei servizi che alle dimensioni delle strutture, tipicamente appartamenti) ma che, al momento attuale, ha un grosso limite: allo Sprar si aderisce solamente su base volontaria. Deve essere l’amministrazione locale a manifestare tale volontà, e se poteva essere una strategia meritevole negli anni passati, ora la libera adesione non basta più dato che ci troviamo ad affrontare un fenomeno migratorio che si presenta in dimensioni più ampie e con caratteristiche diverse rispetto al passato ma che presenta anche elementi di strutturalità e maturità, intesa come compensazione tra nuovi arrivati e acquisizioni di cittadinanza.
Ecco perché chi vuole fare business concentra le proprie attenzioni sui centri straordinari e non sui centri Sprar.
Invece di parlare di pulizia etnica a sproposito e di dedicare giornate intere all’argomento, dovremmo tutti noi spenderci perché lo Sprar diventi un servizio erogato da ciascun comune. Dovremmo spenderci perché venga riformata la Bossi-Fini, una legge folle, generatrice scientifica di irregolarità. Dovremmo spenderci per riformare il regolamento di Dublino. E dovremmo spenderci, per ultimo ma non meno importante, anzi, perché le persone non siano più costrette a scappare dai luoghi in cui vivono, ponendo un’attenzione quotidiana alla politica estera del nostro paese, soprattutto nei legami commerciali (leggi: armi) con paesi in stato di conflitto o in cui non è garantito il rispetto dei diritti umani.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]