[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1494573035915{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Stiamo introducendo, nel nostro ordinamento, il «diritto alla vendetta», scrive oggi Roberto Saviano. Un diritto implicito, che poggia sul “sentimento della gente”, sulla “pancia”. Un diritto rispetto al quale non ci arrendiamo, ma che combattiamo da sempre, facendo di Possibile quello che è: un partito impegnato nella mobilitazione e nell’azione parlamentare per ampliare i diritti di tutti (ma proprio tutti), senza cedere alla risposta facile del “diritto fai date”, della “giustizia fai da te”, che purtroppo trovano di fronte a loro spazi enormi, non solo ordinamentali, ma anche culturali.
Da un lato, infatti, il dibattito parlamentare offre sempre più occasioni per aizzare il dibattito pubblico su temi che vengono trattati a sproposito e malamente. Pensiamo, da ultimo, alla vicenda riguardante la legittima difesa. La Camera ha licenziato un testo confusionario e difficilmente applicabile dal punto di vista del diritto, che però ha trasmesso un messaggio preciso (e sbagliato, in tutti i sensi) all’opinione pubblica: di notte si può fare quello che si vuole, si può sparare. Di notte sostituiamo alle garanzie costituzionali le leggi del far west.
O pensiamo alla riduzione delle garanzie processuali per i richiedenti asilo, che a detta del ministro Minniti amplierebbero i diritti per i “veri rifugiati”, quando sappiamo che, invece, ridurrà i diritti di tutti i richiedenti asilo, configurando (insieme ad altre misure) una disciplina ad hoc per i migranti, una sorta di legge speciale che si basa sull’assunto per il quale se una quota di profughi non ha diritto all’asilo allora colpisco anche chi questo diritto ce l’ha, o potrebbe averlo, togliendo un grado di giudizio a tutti.
Per non parlare delle retate sdoganate anche in stazione Centrale a Milano, con il plauso di chi guida il Partito Democratico a livello metropolitano e a distanza di soli pochi giorni dal ferimento di due militari in seguito a una rissa.
Pensiamo alle unioni civili: sbandierate quale grande conquista del governo Renzi, hanno ampliato la sfera dei diritti al prezzo della discriminazione più odiosa, quella nei confronti dei bambini (si veda alla voce stepchild adoption). O alla nuova legge approvata dalla Camera sulla cittadinanza: un’altra legge che amplia i diritti ma introduce anch’essa — se mai passerà al Senato — una discriminazione, perché sulla condizione del figlio grava quella dei genitori.
Pensiamo, ultimo ma primo, al bonus 80 euro, che premia solamente chi sta all’interno di una determinata fascia di reddito personale (non famigliare) e non chi vi sta sotto.
Lo scivolamento, come dicevamo, non è solo normativo ma anche culturale. Ecco perché non devono sorprendere le parole che si affiancano ai provvedimenti, per giustificare, parlare alla pancia (appunto), creare un sentimento (direbbe Minniti) di empatia:
La sicurezza è un sentire. E la cosa più impegnativa, dunque, è il sentirsi, che è qualcosa di vicino al sentimento. Dove si ragiona con le statistiche non c’è sentimento (Marco Minniti).
La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese (Debora Serracchiani).
A schierarsi dall’altra parte ci sono coloro che rifiutano le generalizzazioni e le approssimazioni (pensate al dibattito sulle ONG), che guardano le statistiche, che fanno i conti, che si interrogano sugli effetti di ciascuna norma che modifica il nostro ordinamento, partendo dal presupposto che a capo di tutto, a tenere assieme una comunità, ci sia il diritto e il rispetto dei diritti individuali e collettivi. E che siano questi a garantire coesione sociale, libertà e, sì, anche l’ordine e la sicurezza.
Non è armando le comunità che otterremo più sicurezza. Non è criminalizzando le ONG che combatteremo i trafficanti. Non è introducendo il reato di rovistaggio che garantiremo ordine nelle nostre città e, men che meno, daremo una speranza a chi non riesce a mettere insieme un pasto. Non è concedendo diritti a una sola parte, quindi introducendo elementi discriminatori, che estenderemo le libertà di tutti noi.
Questo è diritto alla vendetta, un diritto che segna la resa dello Stato in quanto garante dell’attuazione dei principi costituzionali, cedendo alla peggior destra. Siamo di fronte a uno smottamento culturale che travolge tutti, da destra a sinistra.
Con Possibile ci dedichiamo alla messa in sicurezza, quella sicurezza che passa dalla cura e dalle statistiche e che trova concretezza nelle mobilitazioni, nelle strade, nelle piazze e, allo stesso tempo, negli atti parlamentari. Questa è la politica di Possibile. Schieratevi con noi, dall’altra parte.
Stefano Catone
Giuseppe Civati[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]