[vc_row][vc_column][vc_column_text]Mentre il mondo sta cercando di fronteggiare i danni devastanti provocati dal coronavirus, c’è chi invece approfitta di questa situazione di emergenza mondiale per continuare a negare diritti, avanzando addirittura proposte di legge su nodi cruciali per le battaglie rivendicative. E’ il caso dell’Ungheria, coi pieni poteri di Orban e la proposta di legge contro le persone trans*, e della Slovenia, dove anche il primo ministro Jansa ottiene poteri speciali, ma anche della Polonia, che sfruttando il coronavirus ed il lockdown ha provato, di nuovo, a forzare la mano per l’approvazione del divieto assoluto del diritto all’aborto e all’educazione sessuale.
La Polonia, ad oggi, ha una delle leggi sull’aborto più restrittive in Europa. Approvata nel 1993, prevede la possibilità di interrompere la gravidanza esclusivamente a causa di stupri, incesti o laddove la salute della madre o del feto sia gravemente compromessa. La legge attualmente in discussione prevede, come ennesima restrizione, l’esclusione della possibilità di abortire in caso di malformazioni fetali congenite o patologie individuate attraverso esami specifici. Considerando che, secondo alcuni studi, nel Paese vengono effettuati tra gli 80.000 e i 200.000 aborti clandestini e che molte donne sono costrette ad emigrare in Germania o in Repubblica Ceca, questo vincolo ulteriore renderebbe la situazione davvero insostenibile.
Già nel 2016 è stato effettuato un altro tentativo da parte del governo polacco, che prevedeva la possibilità di abortire esclusivamente in caso di grave pericolo per la donna. Il processo di approvazione legislativa, in quel caso, ha avuto una battuta d’arresto grazie alla mobilitazione collettiva da parte dei movimenti per i diritti autodeterminativi locali, nonché da una forte presa di posizione dell’opinione pubblica.
La proposta di approvare una modifica legislativa con un impatto così forte sulla vita delle donne, arriva in un periodo non casuale, e non soltanto a causa della pandemia mondiale. Infatti, nonostante l’emergenza in atto, il 10 maggio in Polonia si svolgeranno le elezioni presidenziali. Riuscire a limitare l’accesso all’aborto permetterebbe, dunque, all’attuale Presidente della Repubblica, l’ultra conservatore Andrzej Duda, di propiziarsi una cospicua fetta di elettorato. Tutto questo a scapito delle donne e dei loro diritti, of course.
In questo periodo come per l’Italia, in Polonia sono vietati in questo periodo gli assembramenti, dunque è esclusa ogni possibilità di organizzare manifestazioni o eventi di protesta. Il movimento femminista polacco rappresenta uno dei cuori pulsanti del movimentismo europeo, attraverso il comitato nazionale della Polish women’s strike, l’associazione che nell’ottobre del 2016 ha organizzato manifestazioni in oltre centocinquanta città per protestare a favore dell’aborto e del diritti riproduttivi.
Nonostante le restrizioni imposte dal coronavirus, le donne polacche non si sono arrese e hanno organizzato forme di protesta e resistenza. Al grido di “abbiamo le mascherine sul viso, ma non chiudiamo la bocca”, la protesta si è svolta in concomitanza col voto del Parlamento, mantenendo le rigorose distanze di sicurezza: centinaia di donne hanno bloccato il traffico, chi invece è rimasta a casa ha esposto cartelloni e striscioni significativi: “l’inferno delle donne continua”, “combatti il virus, non le donne”. Migliaia di corpi, anche in questa occasione di grande emergenza, erano lì, ancora una volta, a testimoniare che la resistenza non si arresta, nemmeno la lotta, e che i diritti delle pratiche di autodeterminazione sono un campo su cui nessuna e nessuno di noi è più disposto a retrocedere o ad accettare soluzione di compromesso.
Tentare di approvare una legge così fortemente limitativa in questo determinato periodo storico è un atto estremamente vigliacco, l’ennesimo esempio di violenza repressiva istituzionale a scapito dei diritti delle donne; l’imposizione patriarcale di una normativizzazione che ha come unica finalità il baratto strumentale dei nostri corpi in cambio di una manciata di voti.
La decisione del Parlamento polacco di bocciare il voto immediato rimandando i due testi in commissione è un risultato che permette di avere del tempo prezioso per riorganizzare la protesta che già dai tempi del #CzarnyProtest è diventata una mobilitazione europea perché colpisce, anche in questo caso, l’essenza stessa di essere membri di una comunità politica che impone il rispetto di diritto comuni come è quello all’autodeterminazione e all’aborto, libero e legale.
Proprio per questo i nostri diritti e la nostra lotta non si arrestano, neanche in tempo di pandemia, perché nessuna sorella dovrà mai essere abbandonata, lasciata indietro o sentirsi invisibile. Noi ci siamo e continueremo ad esserci a difesa della democrazia, dello stato di diritto, delle libertà di tutte e tutti.
Federica di Martino
Gianmarco Capogna[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]