«Gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2017 sono 5 milioni 29mila e rappresentano l’8,3% della popolazione residente totale [60,579 milioni], stessa percentuale di un anno fa. Rispetto al 1° gennaio 2016 l’incremento è di appena 2mila 500 unità, per un tasso pari allo 0,5 per mille». A chi parla di invasione e di sostituzione etnica rispondete così: la popolazione straniera è stabile, ed è stabile dal primo gennaio del 2014, quando gli stranieri regolarmente soggiornanti erano 4,9 milioni. «Si tratta — scrive Istat — della crescita più modesta degli ultimi anni».
Oltre che per ragioni di flussi in entrata e in uscita (che contribuiscono positivamente al saldo per 135mila unità, essendo gli ingressi 293mila, contro 157mila uscite), «il rallentamento della crescita della popolazione straniera si deve, in particolar modo, alle acquisizioni della cittadinanza italiana, una componente di bilancio che mostra nel tempo un’evoluzione davvero notevole: 29mila nel 2005, 66mila nel 2010, 178mila nel 2015. Sulla scia di tale progressione, nel 2016 si stimano 205mila acquisizioni, segno che il Paese si trova a gestire una fase matura dell’immigrazione». Una «fase matura», che dovremmo gestire in modo maturo, con una adeguata legge sulla cittadinanza, e con un governo dei flussi migratori aderente alla realtà e lontano dall’ideologia dei muri (fisici e politici) così come dei respingimenti, principi cardine dell’azione del governo Gentiloni.
Nonostante la crescita del numero di acquisizioni di cittadinanza, la popolazione italiana (55,551 milioni) segna comunque un calo pari a 89mila unità, compensato solo molto parzialmente dall’aumento di popolazione straniera (2,5mila unità, come abbiamo visto), per un saldo totale dei residenti in Italia in calo di circa 86mila unità, dovuto alle «ordinarie operazioni di assestamento e revisione delle anagrafi», dato che «nel 2016 il saldo naturale (nascite-decessi), negativo per 134 mila unità, e quello migratorio con l’estero, positivo per 135 mila unità, si equivalgono».
«Nel 2016 — prosegue Istat — il 19,4% dei bambini è nato da madre straniera, una quota identica a quella riscontrata nel 2015, mentre l’80,6% ha una madre italiana. In assoluto, i nati da cittadine straniere sono 92mila, il 2,2% in meno dell’anno prima. Di questi, 61mila sono quelli avuti con partner straniero, 31mila quelli con partner italiano. I nati da cittadine italiane sono 382mila, con una riduzione del 2,4% sul 2015. Le donne straniere in età feconda, che usualmente evidenziano un comportamento riproduttivo più accentuato e sono favorite da una struttura per età nettamente più giovane, hanno avuto in media 1,95 figli nel 2016 (contro 1,94 del 2015). Le italiane, dal canto loro, sono rimaste sul valore di 1,27 figli, esattamente come l’anno precedente».
Questi dati ci consegnano una realtà ben precisa: di fronte al progressivo invecchiamento della popolazione italiana, effetto combinato di bassa natalità e di un aumento dell’età media, la popolazione straniera — che rimane stabile soprattutto per effetto delle acquisizioni di cittadinanza — contribuisce a contrastare questa dinamica di spopolamento e invecchiamento. Tutti elementi dei quali una politica lungimirante, non ideologica e non in preda a svarioni pre-elettorali dovrebbe tenere conto.