I partiti sono tutti morti, dice il Comico. La risata, amara, resta strozzata in gola. Perché la crisi della società industriale e il tramonto del fordismo portano con sé anche la fine del modello di partito tradizionale, organizzato su base gerarchica e sulla divisione netta delle funzioni. Più che cantarne la dipartita, occorre ripensare il ruolo dei partiti, diventati solo più comitati di interessi privati e rappresentazioni di personalismi.
La mozione di Giuseppe Civati è certamente il documento più completo in questo senso, non solo nel contesto di questo congresso ma, più in generale, come progetto di riforma dello spazio di relazione che precede il sistema politico. E’ il progetto del partito delle possibilità, la prima delle quali è la possibilità di essere ascoltati, di essere accolti anche se portatori di dissenso.
La versione di Civati è il frutto di un cammino lungo almeno quattro anni, periodo in cui Giuseppe è ‘uscito fuori’, è andato di persona a conoscere quei luoghi che la dialettica politica ha abbandonato, i circoli, le associazioni, le province più remote che non si fila mai nessuno, ed ha lavorato insieme a tanti altri per riattivare il tessuto comunicativo di cui un partito si dovrebbe nutrire quotidianamente. Un partito dev’essere un luogo facilmente raggiungibile, aperto da ogni lato in cui lo si guardi, in cui trovano ospitalità le ragioni del dissenso, le quali concorrono, in un dibattito libero ed informato, alla formazione delle decisioni collettive.
La crisi italiana ha “come tema centrale il rapporto tra cittadini e Stato che i partiti dovrebbero tradurre in governo”: ma la crisi della forma partito determina il fallimento di questa mediazione che si riproduce in uno scollamento del sistema politico rispetto all’ambiente sociale. Il partito senza forma, orientato solo sulla linea dei personalismi, è trampolino dal quale i capicorrente esercitano pressioni per occupare incarichi di governo e di sottogoverno: separare partito e ambito di governo significa ridare al partito quel ruolo autonomo nella fase di elaborazione e determinazione degli indirizzi delle politiche pubbliche. Il partito è ambito pre-politico, è luogo della discussione degli indirizzi politici, di interazione fra società e sistema istituzionale.
Nel Partito Democratico non si comprende bene chi decide e che cosa. La discussione è assente, o relegata in riunioni informali (i caminetti). Troppo spesso le decisioni sono state prese senza consultare gli elettori, senza coinvolgerli, senza “riconoscere l’essenziale protagonismo e la sovranità che loro appartiene”. Un partito senza partecipazione diventa pura burocrazia; un partito senza partecipazione è privo della capacità di rappresentare il proprio elettorato e i propri iscritti. Ne cerca il sostegno durante le campagne elettorali, esponendo idee e programmi: ma trascorso il periodo del voto, li dimentica, come se non ci fossero mai stati, e intraprende avventure politiche in loro nome che sono in aperto contrasto con quanto appena promesso.
Informare e coinvolgere dovrebbero essere le prime missioni del Pd, individuando e abbattendo quelle barriere che oggi impediscono il confronto.