Il fisco, si sa, è antipatico a tutti. Purtroppo però il nostro Paese ha un tasso di evasione fiscale altissimo ed è per questo motivo che la normativa si è evoluta in senso restrittivo, con i vari redditometri e spesometri, con gli studi di settore, con gli accertamenti induttivi, e soprattutto con l’attribuzione di gran parte degli oneri probatori in capo al contribuente.
In linea generale, l’Amministrazione finanziaria è tenuta alla allegazione dei fatti costitutivi della maggiore pretesa vantata, cui adempie motivando adeguatamente l’atto impositivo. Invece, il contribuente deve allegare (e, successivamente, provare, se contestati) i fatti modificativi, impeditivi ed estintivi della pretesa fiscale o i fatti che fondano i propri diritti.
Viene sostanzialmente invertito l’onere probatorio ordinario, secondo il quale chi vuole far valere una pretesa in giudizio deve darne la prova, e ciò in ragione della materia e dell’interesse collettivo.
Personalmente sono stato spesso critico nei confronti di molti provvedimenti in questa materia, alcuni dei quali peraltro sono caduti nel nulla o si sono rivelati inutili o a rischio di incostituzionalità, ma non ho mai dubitato della necessità di contemperare adeguatamente l’interesse pubblico con quello del privato cittadino, anche considerando la difficoltà e la complessità probatoria dell’accertamento di una condotta come l’evasione fiscale.
Ora, a leggere i virgolettati dei quotidiani, il vicepremier Di Maio avrebbe dichiarato: “Aboliremo tutti gli strumenti come lo spesometro e il redditometro e inseriremo l’inversione dell’onere della prova. Perché siete tutti onesti ed è onere dello Stato provare il contrario”, aggiungendo che questo tipo di misure hanno “reso schiavi quelli che producono valore”. “Noi — ha aggiunto — incroceremo tutti i dati della P.A.” per dimostrare l’evasione.
Non solo, quindi, si ipotizza una flat tax che abbasserà notevolmente le tasse ai ricchi, ma con l’inversione (della già avvenuta inversione) degli oneri probatori, si renderà più difficile, oggettivamente, rilevare e punire l’evasione, con una presunzione di “onestà” che, quanto meno statisticamente, appare poco calzante ai nostri contribuenti in generale.
Anche facendo la tara alla evidente ricerca di consenso con dichiarazioni spot, queste ultime non possono non preoccupare, per gli stessi motivi per cui preoccupa la flat tax.
Il contribuente modesto che omette un pagamento sarà certamente punito, perché sarà relativamente semplice la prova del suo errore o della sua violazione.
Di contro, chi predispone sofisticati sistemi di false fatturazioni e giri immensi di denaro off shore, ed ogni riferimento a fatti accaduti e a sentenze definitive è puramente casuale, molto probabilmente, se verranno a mancare questi equilibri, la farà franca, perché non basterà incrociare i dati della P.A..
Se la normativa venisse modificata in questo senso senza accurate considerazioni su quel citato contemperamento di interessi pubblici e privati, rischierebbe di venir meno anche la progressività degli accertamenti fiscali, con pieno successo di quelli che toccano chi tira a campare con una partita iva o una piccola o media impresa, e probabile impunità per i grandi evasori.
Un “cambiamento” che danneggerebbe tutti e che sarebbe davvero meglio evitare.