di Raffaello Russo
Comitato Roma Possibile
È notizia di questi giorni l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del decreto sulle assunzioni nella Pubblica Amministrazione per gestire i fondi del PNRR. Con curiosa coincidenza di tempi, il Ministro Brunetta ha anche annunciato di aver cancellato la norma che prevedeva l’obbligo per le Pubbliche Amministrazioni, nel quadro degli appositi piani operativi per il lavoro agile, di assicurare almeno il 50% delle prestazioni professionali dei propri lavoratori in modalità smart-working, rimettendo la decisione sul punto all’organizzazione dei singoli uffici. Ancorché tra loro non direttamente legati, i due provvedimenti rappresentano due facce della stessa medaglia, che rivelano l’idea di Pubblica Amministrazione del “governo dei migliori” e della sua pletora di “esperti” chiamati dal Ministro competente a delinearne le magnifiche sorti e prospettive, dopo decenni di mancato turnover, disinvestimenti nella formazione, contrazione negli organici ed esternalizzazioni selvagge. Se le norme sullo smart-working, anziché regolarne le modalità al di là del periodo emergenziale, denotano l’abituale visione “zaloniana” del dipendente pubblico, che è preferibile tenere in ufficio per poterlo controllare, “comprandone il tempo” senza necessariamente curarsi più di tanto della sua produttività e funzionalità ai risultati, ben più significativo è l’annuncio delle 24.000 assunzioni a tempo determinato, fino alla conclusione delle attività connesse al PNRR. Ora, al di là degli annunci, una misura del genere non presenta il minimo impatto strutturale sugli organici sempre più esigui delle Pubbliche Amministrazioni, oltre a suscitare perplessità sotto una pluralità di profili, dalla selezione al rapporto organico di questi assunti con i dipendenti “ordinari”, fino alla connessione più o meno esclusiva e diretta dei nuovi assunti agli obiettivi per i quali sono stati reclutati. Per disciplinare tali aspetti sarebbe necessario, banalmente, conoscere la realtà concreta delle Pubbliche Amministrazioni attuali, che invece sembra si voglia rimuovere a monte, di fatto affermandone la loro inadeguatezza ad attuare il PNRR. Sicuramente in questo momento storico le Pubbliche Amministrazioni sono deboli, ma sono tali perché indebolite da decenni di politiche del tutto coerenti con quelle che il governo Draghi sta mostrando di voler attuare, soltanto con altri mezzi dettati dalla particolare contingenza che viviamo. Eppure, nonostante la loro debolezza – spesso soprattutto numerica – non si può certo affermare in via pregiudiziale che siano svuotate di competenze e professionalità adeguate. Di certo, il momento emergenziale e la necessità di procedere in tempi rapidi per l’attuazione del PNRR possono giustificare a monte una misura quale quella delle assunzioni mirate a tempo determinato (“non ci sono alternative”….), tuttavia tale strumento non costituisce una novità a livello normativo, né soprattutto pratico. Chi conosce le Pubbliche Amministrazioni odierne, o vi si relaziona con una certa continuità, sa che molte delle sue funzioni sono già di fatto “esternalizzate” secondo diverse modalità: dalla selva di società “in house” che fungono da salvadanaio sotto il controllo politico (con buona pace dell’imparzialità dell’azione amministrativa dettata dall’art. 97 della Costituzione), al diffondersi sempre più ampio delle c.d. “assistenze tecniche”, fornite da società private portatrici di propri interessi potenzialmente confliggenti con quelli dell’azione pubblica (basti pensare al discusso caso della consulenza di Mckinsey proprio per la redazione del PNRR). Si tratta di consulenze senz’altro altamente qualificate, soprattutto in settori quali la contrattualistica pubblica, la gestione e certificazione di fondi europei, spesso anche la redazione di piani operativi strategici. Questo appare dunque l’anello di congiunzione tra la realtà attuale e le assunzioni previste per il PNRR: viste anche le modalità di selezione annunciate, che superano il concorso in favore di un non meglio precisato “Linkedin pubblico”, è realistico pensare che una parte rilevante dei nuovi assunti a tempo determinato possa provenire proprio dalle fila delle varie società di consulenza, proprio in quanto i loro contingenti di personale presentano livelli di specializzazione non facilmente reperibili in altri ambiti. Si tratterebbe dunque di una internalizzazione temporanea di quello che oggi è esternalizzato; ora, senza considerare nemmeno gli aspetti economici (come si farà a rendere appetibile un contratto quinquennale con la PA a un consulente privato dalle prospettive professionali più remunerative e gratificanti?), è logico interrogarsi su quale contributo tale forma di reclutamento potrà offrire alle Pubbliche Amministrazioni nel breve periodo di durata del PNRR e in quello ad esso successivo. È vero che per rendere più attrattiva l’operazione sarà prevista una quota di riserva dei nuovi assunti nei concorsi pubblici successivi; si tratta tuttavia di una misura debole e lontana nel tempo, visto che da qui ad allora potranno ben svolgersi ulteriori concorsi “ordinari”. Ma soprattutto non è chiaro il rapporto tra questi nuovi assunti e gli attuali organici pubblici, soprattutto nelle fasi nelle quali, fisiologicamente, la loro attività non sarà richiesta per il PNRR o nelle quali le azioni da esso previste dovessero concludersi prima della durata prevista del loro contratto. Il rischio è che si creino dei compartimenti stagni, anzi una sorta di “Pubblica Amministrazione parallela”, paradossalmente analoga a quella che sembrava essere nel disegno del governo Conte e che è stata tra le ragioni della sua caduta. In questo senso, l’intera operazione rafforzerebbe poco o nulla la Pubblica Amministrazione durante e, soprattutto, dopo il periodo di attuazione del PNRR se non coordinata con interventi strutturali sui processi organizzativi, sugli organici ordinari, sui processi di selezione, sulla formazione continua e sulle reali possibilità di carriera interna, svincolandole dalle mutevoli stagioni della politica. In assenza di una visione chiara riguardo questi e altri temi, al di là delle retoriche della burocrazia e della “semplificazione” perenne, si continuerà a restare nel solco delle politiche degli ultimi tre decenni, che hanno appunto portato a una Pubblica Amministrazione oggettivamente debole, la cui debolezza discende dalle scelte di una politica che da un lato continua ad asservirla, salvo poi additarne il cattivo funzionamento causato proprio dalla su scelte, in un circolo vizioso senza via d’uscita. Allora, per non tornare indietro mentre si dà l’impressione di andare avanti, non è (purtroppo) scontato tornare ai principi costituzionali dell’imparzialità e dell’accesso per concorso pubblico, e richiamarne le norme attuative che sanciscono la separazione tra amministrazione e politica; perché l’efficienza della macchina pubblica non è funzionale soltanto all’indirizzo politico temporaneo o a esigenze di durata circoscritta come quelle del PNRR, ma serva tutti i cittadini a parità di condizioni.