Il panico e la confusione post-referendum, paventata dal Governo Renzi in caso di vittoria del no il 4 dicembre, sembrano aver colpito solo e unicamente lo stesso Renzi e il suo blocco di potere. Il diluvio minacciato si è rivelato una tempesta in un bicchier d’acqua, che però l’ex premier ha buttato giù di un fiato, confermando i suoi fedelissimi sull’arca del successore. E conservando “tutti gli uomini del precedente”, come è stato detto (quanto alle donne, che erano già diminuite nel corso del mandato renziano, sono scese ancora di più, sotto la soglia che era stata indicata con grande enfasi nel 2014: strano che così pochi l’abbiano notato).
Non si spiega altrimenti l’ennesima idea folle che leggiamo oggi sui quotidiani: andare al voto al più presto, prima della primavera, con l’obiettivo precipuo di evitare i referendum sul lavoro su cui la Cgil ha raccolto tre milioni di firme.
Dopo l’astensione sulle trivelle e la sconfitta sulla Costituzione, la soluzione è quella di non arrivare al confronto.
Renzi spera di evitare un’altra sonora bocciatura a una delle sue riforme chiave: il Jobs Act o meglio legge Poletti (anche perché sappiamo che il titolo obamiano si riferiva ad altro, nel più classico degli inglesismi maccheronici a cui ci hanno abituato).
Resterà deluso. Come dicono gli anglofoni, quelli veri, “he can run, but he cannot hide”: può scappare, ma non può nascondersi.
E non potrà sottrarsi al confronto nemmeno chi vuole “unire la sinistra” in astratto, senza prendere posizione sulla sostanza: come voterà chi vuole allearsi da sinistra con Renzi? A favore delle riforme di Renzi o a favore della loro abrogazione?
Non può sfuggire al giudizio degli elettori sulla riforma del lavoro, come ripetiamo ormai da anni.
Noi siamo pronti alla campagna referendaria e ci uniremo ai moltissimi italiani che siamo certi vorranno dire sì a una diversa concezione dei rapporti e dei contratti di lavoro, come abbiamo fatto in aula, quando votammo contro la legge Poletti. E lo faremo anche se la campagna referendaria verrà negata, lo faremo in campagna elettorale, convinti che la questione politica collegata a questi temi sia essenziale.
La sostanza non cambia. E di certo non possiamo allearci con un candidato premier che ha voluto queste riforme e con chi le ha votate. Come già per la Costituzione, pensando al suo primo articolo.
Comunque vada, al di là dei trucchi e delle scorciatoie cercate con l’inganno, partiamo subito, invitando tutte e tutti a una mobilitazione sul tema del lavoro e contro le disuguaglianze, per costruire l’alternativa alla legge Poletti di cui il Paese ha bisogno. Con o senza referendum.