Anche la riforma della scuola è in dirittura d’arrivo con la stessa modalità: è sempre una questione di fiducia al governo, un prendere o lasciare rispetto al quale alla fine anche chi parte critico preferisce prendere.
È andata così sul jobs act, lo sblocca-Italia, l’Italicum, la riforma della scuola, appunto.
Si disegna una società verticale e precarizzata in cui chi si trova nelle posizioni protette è sempre più protetto e chi in quelle più svantaggiate è sempre più svantaggiato.
Viene rovesciato il principio di uguaglianza, uno dei fondamenti della nostra Costituzione.
In base a questo, infatti, la Repubblica dovrebbe attivarsi per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Questa riforma, invece, aumenta gli ostacoli, prevedendo detrazioni che avvantaggiano le scuole frequentate dagli studenti più agiati e dimenticando le borse di studio da attribuire in base al reddito, che la stessa Costituzione prevede.
Intende affidare il buon funzionamento della scuola – senza sorpresa – a uno solo: il preside-manager (declinato anche nella variante del preside-sindaco, purché sempre al maschile, naturalmente…), rinunciando a un’idea di comunità che sarebbe la forza di una buona scuola. Al preside-manager vengono attribuiti poteri di chiamata e di valutazione che incidono in modo inevitabilmente negativo sulla libertà di insegnamento costituzionalmente garantita all’articolo 33 della Costituzione. Non solo ma rispetto alla valutazione il preside-manager non ha le competenze (e ancora meno ne ha la commissione che lo affianca) ciò contribuendo ad aprire lo spazio a ricorsi e contestazioni ricorrenti (con ulteriore aggravio anche della giustizia).
Senza considerare che la precarizzazione risulta procrastinata anche dopo l’assunzione (per i primi tre anni) e che i neo-assunti (proprio come nel jobs act) si trovano ad avere garanzie inferiori a chi era stato assunto prima.
Ce n’è abbastanza – crediamo – per cercare di spazzare via questa riforma. Almeno nei suoi punti principali, di maggiore sofferenza. Sofferenza costituzionale, come si vede (che determinerà la sottoposizione di alcune sue norme a un giudizio di costituzionalità).
In Parlamento cambiare non è più possibile. L’unica strada rimasta è quella del referendum abrogativo delle parti che tramite questo strumento – che ha un utilizzo vincolato dai limiti di ammissibilità, sempre più elaborati dalla Corte costituzionale – consente. Certamente attraverso questo strumento possono ridursi i poteri del preside-manager e recuperare nella scuola un educativo senso di uguaglianza e di partecipazione.
La richiesta di referendum l’ha già lanciata Pippo Civati con Possibile che ha unito ai quesiti sulla scuola quelli relativi alle altre riforme approvate nel medesimo segno: il jobs act, lo sblocca-Italia, l’Italicum. Ma certamente si può realizzare un’ampia convergenza di soggetti impegnati finalmente su temi precisi, che possono disegnare un’altra idea di società, appunto. Quella che non si affida ciecamente a un “capo” rinunciando a partecipare, perché seguendo questa idea poi non c’è da stupirsi se le urne sono così poco frequentate.
Un’altra idea di società, un altro programma, lo si può realizzare con la forza di una scelta netta tra il SI e il NO (non essendoci sulla scheda la casella de “forse” del “ma-anche”), in una logica maggioritaria: o di qua o di là. Con due visioni contrapposte. Alternative. Perché con il referendum un’alternativa c’è sempre.