Siamo all’ennesimo, grottesco capitolo della querelle sulle fake news, o bufale che dir si voglia, e il loro supposto ruolo nel processo democratico.
Dopo averne sentite di tutti i colori, dal Governo e non solo, da chi chiede pene severissime per i supposti bufalari e le piattaforme che li ospitano, a chi propone di istituire un’autorità che stabilisca ciò che è vero e ciò che non lo è, ad accorate lettere e richiami a Mark Zuckerberg, siamo arrivati a una proposta di legge.
Si tratta del DDL “Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica”.
Già dal titolo sono evidenti i primi segni dell’assurdità che ha ormai invaso parte del ceto politico italiano: se davvero esiste un problema del genere, e se davvero è necessaria una legge che lo affronti, perché limitarsi a ciò che viene pubblicato online? Sicuri che le fake news siano limitate solo al “web”?
E soprattutto: posto che nella legge non c’è in realtà nulla riguardo all’incentivazione dell’alfabetizzazione digitale, non sarebbe meglio partire proprio dall’alfabetizzazione in generale, visto che persino i DDL ormai sono scritti coi piedi, con tanto di congiuntivi sbagliati?
Ma queste domande ci porterebbero fuori strada. Perché il punto non sta nella sciatteria di forma e contenuto di questa proposta, ma nella totale miopia (o malafede) che ancora una volta tradisce.
L’idea ormai prevalente nel fronte anti-bufale (infarcitissimo in realtà di bufalari professionisti) è che a quella che viene chiamata “ondata populista” (in cui si include qualsiasi voce dissonante dalla quella del fronte in questione) si debba rispondere con l’autoritarismo e l’arroccamento.
Pensate per un momento, se invece del vituperato “web” si parlasse di organi di informazione tradizionali. Pensate se invece di volti come quelli di ministri e alte cariche dello Stato, a paventare provvedimenti di questo tipo fossero figure come quelle di Putin o Trump, tanto per non fare nomi di casa nostra.
Come credete che verrebbe commentata la cosa? Ci si straccerebbero le vesti per gli attacchi alla libertà di informazione, si scatenerebbero raccolte firme contro il bavaglio alla stampa. Editoriali di fuoco. Decine e decine di ore di dibattiti televisivi.
Mentre invece il dibattito surreale che si alimenta nel sistema politico-mediatico del nostro Paese sembra voler suggerire seriamente che sia compito dello Stato stabilire ciò che è o non è verità.
Ci rendiamo conto della follia insita anche solo nell’immaginare soluzioni di questo tipo?
Noi non vogliamo vivere in uno Stato che ci dica ciò che è vero e ciò che non lo è, ci fa orrore. Ci ricorda ben altre destre populiste.
Lo Stato in cui vogliamo vivere, è uno che dia a ogni cittadina e a ogni cittadino strumenti culturali adeguati al pensiero critico e al discernimento tra l’enorme flusso di informazioni a cui ogni giorno è sottoposto. E la libertà per esercitarli, che sia anche e soprattutto libertà dai bisogni e dalle disuguaglianze che li alimentano.
L’unico vero argine al populismo è questo.