Fare la ruggine: alcune note a margine delle elezioni Usa

Premessa: non faccio l'esperto di elezioni americane - come altri, che ne scrivono da mesi, sapendola lunghissima - e speravo ovviamente vincesse l'altra candidata.

Pre­mes­sa: non fac­cio l’e­sper­to di ele­zio­ni ame­ri­ca­ne — come altri, che ne scri­vo­no da mesi, sapen­do­la lun­ghis­si­ma — e spe­ra­vo ovvia­men­te vin­ces­se l’al­tra can­di­da­ta. Con­fi­da­vo in una sua vit­to­ria di misu­ra, in veri­tà, anche ieri sera, in diret­ta tv.

Alle pri­ma­rie soste­ne­vo San­ders (come i mil­len­nials, i più gio­va­ni, e que­sto ci dà un po’ di spe­ran­za), men­tre tut­ti mi ride­va­no die­tro, per­ché biso­gna­va vota­re per chi vin­ce… e in Ita­lia era­no tut­ti cer­ti del risultato.

Soste­ne­vo San­ders per­ché sono con­vin­to che ser­va­no pro­po­ste più radi­ca­li, che se si vuo­le dare una rispo­sta al males­se­re dif­fu­so non si pos­sa appa­ri­re trop­po vici­ni ai gran­di inte­res­si, alle ban­che, alle gran­di compagnie.

Che ci voles­se una poli­ti­ca che rap­pre­sen­tas­se i peri­fe­ri­ci, i gio­va­nis­si­mi e i drop out di tut­te le età, che inter­pre­tas­se i loro biso­gni pri­ma­ri e le loro aspet­ta­ti­ve, uni­co ‘rime­dio’ alla pau­ra fot­tu­ta che altri­men­ti atta­na­glia chi si sen­te fra­gi­le, espo­sto a un gio­co più gran­de, che non con­trol­la in alcun modo. A cui nem­me­no par­te­ci­pa. Paro­le sem­pli­ci, auto­no­me, cre­di­bi­li: real issues.

Guar­dan­do ai risul­ta­ti del­la rust belt mi pare evi­den­te (rust signi­fi­ca rug­gi­ne, peraltro).

Per­ché è neces­sa­ria una let­tu­ra del­la cri­si, che a sini­stra va anco­ra for­mu­la­ta e mi pare­va che con San­ders si faces­se un ten­ta­ti­vo più avan­za­to in que­sta direzione.

Hil­la­ry Clin­ton si è tro­va­ta a incar­na­re la sco­mo­da posi­zio­ne di chi ere­di­ta­va il pote­re e non ha sapu­to distac­car­se­ne, e per via del­la sua sto­ria per­so­na­le nem­me­no avreb­be potuto.

A un cer­to pun­to biso­gna deci­de­re cosa costa di più, se rinun­cia­re ai gran­di finan­zia­to­ri o rischia­re di per­de­re le ele­zio­ni per­ché si pas­sa per esse­re al loro servizio.

Pen­so, da anni, che il pro­ble­ma del­la disu­gua­glian­za e del­l’ar­roc­ca­men­to del siste­ma sia il peri­co­lo più gran­de. E, se sia­mo tut­ti d’ac­cor­do sul­l’a­na­li­si e sul quel males­se­re, il mes­sag­gio non può esse­re che non c’è alter­na­ti­va: si può fare di meglio.

Temo inve­ce che, come spes­so acca­de, negli stes­si di cui sopra scat­te­rà l’ir­re­si­sti­bi­le ten­ta­zio­ne non del­la ricer­ca di un’al­ter­na­ti­va, cosa mol­to dif­fi­ci­le, ma all’i­mi­ta­zio­ne, che è deci­sa­men­te più semplice.

Così al pros­si­mo giro vin­ce­rà un can­di­da­to che farà appa­ri­re Trump mode­ra­to, e così via all’infinito.

Ho insom­ma assi­sti­to da lon­ta­no alla cam­pa­gna del meno peg­gio che, come ripe­to da tem­po, a vol­te por­ta diret­ta­men­te al peggio.

Poi maga­ri ne par­lia­mo meglio, ma il meno­peg­gi­smo mi pare non esca benis­si­mo. Né chi ride­va di chi soste­ne­va il can­di­da­to che non vin­ce­va. E ora ha perso.

Infi­ne, poi­ché qual­cu­no (i soli­ti) ha volu­to col­le­ga­re quel che suc­ce­de lag­giù alle nostre vicen­de poli­ti­che nazio­na­li, segna­lo che le rego­le si fan­no pen­san­do anche che pos­so­no vin­ce­re gli altri (the others).

Le vec­chie Costi­tu­zio­ni (quel­la ame­ri­ca­na è del Set­te­cen­to, emen­da­ta in modo pun­tua­le e pre­ci­so) era­no sta­te scrit­te anche pen­san­do a ciò. Non dimentichiamolo.

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