“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.” Art. 32 Costituzione Italiana.
Lo stato Italiano quindi tutela la salute come “diritto fondamentale”. Su questo principio si basa l’epocale riforma del 1978, la legge 833 istituente il Servizio Sanitario Nazionale. L’Italia, in tale data, ha abbandonato definitivamente l’assistenza di tipo “mutualistico” per scegliere il modello universalistico di tipo Beveridgiano (da Sir Beveridge, l’Ideatore del National Health System del Regno Unito, il primo Servizio Sanitario pubblico e gratuito).
Cosa significa?
In un Sistema Sanitario Universalistico lo Stato garantisce ai propri cittadini il diritto ad accedere all’assistenza sanitaria, a titolo gratuito, evitando che chi ha bisogno di prestazioni sanitarie sia costretto a pagare per le stesse. Lo Stato garantisce la copertura finanziaria dei servizi erogati, recuperando le risorse attraverso le tasse: siamo quindi noi contribuenti, concretamente, a versare una quota per i Servizi Sanitari di cui possiamo disporre.
È giusto?
I principali detrattori del modello Universalistico sostengono che non sia giusto che un cittadino “sano” paghi per servizi che non sta utilizzando. Quest’affermazione è facilmente smentibile con i dati epidemiologici, che dimostrano come un miglioramento delle condizioni di salute delle classi più disagiate comporti a cascata benefici a tutta la collettività. Senza dimenticare che è eticamente giusto, oltre che un dovere morale, contribuire a mantenere il diritto alla salute, non solo nostro, ma di tutti i nostri concittadini, soprattutto quelli che versano in condizioni socio-economiche disagiate.
“Gli individui”
I Padri Costituenti avevano qui dimostrato spirito di avanguardia, parlando di “individui” piuttosto che “cittadini”. Questo significa che in Italia viene garantito il diritto alla Salute ad ogni persona, a prescindere dal suo sesso, dalla sua etnia, dal suo livello socio-economico, dalla sua nazionalità, e dal suo status. Questo dimostra l’universalità di questo diritto, che viene applicato non solo a chi gode della cittadinanza Italiana, ma a tutti gli individui che si trovino nel territorio Italiano.
Dove siamo arrivati?
Il Servizio Sanitario Nazionale Italiano, nel corso degli anni, è diventato uno dei fiori all’occhiello del nostro Paese, che ha permesso all’ Italia di essere sempre tra i primi in classifica per qualità dell’assistenza sanitaria e di essere un modello di riferimento per gli altri Paesi.
Eppure permangono ancora alcune problematiche: con il decreto 502 del 1992, lo Stato ha delegato alle Regioni la gestione dell’assistenza sanitaria. Questo passo avrebbe dovuto proporre un miglioramento dei servizi e una più capillare presenza sul territorio, ma creato, in realtà, condizioni di grande disparità, con 20 Servizi Nazionali diversi invece di uno solo, di cui alcune realtà virtuose, ma altre insufficienti per offerta dei servizi e gestione della spesa.
Lo stato dovrebbe continuare ad essere Garante del diritto alla Salute, limitando le disuguaglianze territoriali, lasciando alla Regioni margini di libertà (soprattutto a quelle più “virtuose”) ma costringendole a garantire standard minimi di qualità omogenei in tutto il territorio, più completi degli attuali L.E.A., (Livelli Essenziali di Assistenza) che, nonostante siano già i minimi accettabili, in alcune regioni non riescono neppure ad essere completamente soddisfatti.
È ancora un modello sostenibile?
La profonda diversità della struttura demografica Italiana di questo terzo millennio, con il progressivo allungamento della speranza di vita e l’innalzamento dell’età media della popolazione, nonché l’aumento della prevalenza delle malattie croniche, pone delle nuove sfide al Sistema Sanitario Italiano.
Il Servizio Sanitario Nazionale è in difficoltà, anche a causa del periodo di crisi, ma è ancora sostenibile. Occorre ideare strategie di revisione della spesa che non prevedano tagli lineari, ma analizzino gli sprechi da eliminare senza intaccare la qualità. I soldi destinati alle spese sanitarie non sono “ a fondo perduto”, ma anzi, possono essere occasione di investimento, a patto di attuare serie politiche sanitarie a lungo termine, che considerino tutto il percorso di vita del cittadino, senza dimenticare le strategie di prevenzione.
Occorre rivedere il “contributo dell’utente alla spesa sanitaria”, il famigerato ticket, che, soprattutto nella sua quota fissa che non tiene conto del reddito dell’utente, risulta iniquo e crea disparità tra le varie classi sociali.
Quale futuro per la Sanità Italiana?
È necessario continuare ad investire sul Servizio Sanitario Nazionale, affinché continui ad essere uno strumento di difesa di un diritto fondamentale, e la sanità privata deve ad esso affiancarsi, ma non sostituirsi. Lo Stato deve difendere e tutelare il Servizio Sanitario pubblico, nel suo inestimabile valore, e deve dare ad esso gli strumenti per ammodernarsi e proiettarsi nel nuovo millennio.