La scuola classista non è la nostra scuola

Ieri un’inchiesta di Repubblica ha svelato come siano molti i licei che, nei “rapporti di valutazione” presentati sul portale Scuola in Chiaro, presentano come loro punti di forza l’assenza tra gli alunni di ragazzi di origine straniera, disabili, poveri o rom.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Ieri un’inchiesta di Repub­bli­ca ha sve­la­to come sia­no mol­ti i licei che, nei “rap­por­ti di valu­ta­zio­ne” pre­sen­ta­ti sul por­ta­le Scuo­la in Chia­ro, pre­sen­ta­no come loro pun­ti di for­za l’assenza tra gli alun­ni di ragaz­zi di ori­gi­ne stra­nie­ra, disa­bi­li, pove­ri o rom.

“Gli stu­den­ti del liceo clas­si­co han­no una pro­ve­nien­za socia­le più ele­va­ta rispet­to alla media, e que­sto è par­ti­co­lar­men­te avver­ti­to nel­la nostra scuo­la”, scri­ve il Pari­ni di Milano.

“L’assenza di ‘grup­pi par­ti­co­la­ri (ad esem­pio noma­di) offre ai ragaz­zi un back­ground favo­re­vo­le”, in quel­la dell’Andrea D’Oria di Genova.

Tran­ne un paio, gli stu­den­ti sono ita­lia­ni e nes­su­no è disa­bi­le” si leg­ge nel­la pre­sen­ta­zio­ne del liceo Viscon­ti di Roma.

I pro­fi­li di que­sti licei, che emer­go­no dai loro RAV, rap­pre­sen­ta­no l’an­ti­te­si del­l’i­dea di scuo­la inclu­si­va indi­ca­ta dal­la Costi­tu­zio­ne negli arti­co­li 3 e 34 (“La scuo­la è aper­ta a tut­ti”) e che LeU met­te al cen­tro del­la sua idea di Scuola.

Pen­sa­re che il pro­ces­so di appren­di­men­to sia favo­ri­to dall’assenza di stu­den­ti con dif­fi­col­tà o pro­ve­nien­ti da un con­te­sto socia­le svan­tag­gia­to è un’illusione clas­si­sta che svi­li­sce il con­cet­to stes­so di scuo­la pub­bli­ca, dove la cre­sci­ta cul­tu­ra­le e intel­let­tua­le deve avve­ni­re attra­ver­so il con­fron­to tra diver­si e non può esse­re disgiun­ta dal­la for­ma­zio­ne del cit­ta­di­no e del­la cittadina.

Bene ha fat­to la mini­stra Vale­ria Fede­li a “stig­ma­tiz­za­re il lin­guag­gio uti­liz­za­to da alcu­ni isti­tu­ti”. Cer­to, fa spe­cie che la stes­sa mini­stra abbia poi richie­sto sui RAV un moni­to­rag­gio dell’Invalsi, e cioè di quell’istituto Nazio­na­le di Valu­ta­zio­ne che di fat­to ha intro­dot­to il prin­ci­pio di con­cor­ren­za tra le scuo­le ita­lia­ne, attra­ver­so test che per die­ci anni han­no esclu­so i bam­bi­ni disa­bi­li dal­le clas­si dove si face­va­no le pro­ve e dai con­teg­gi per for­ma­re clas­si­fi­che.

Noi pen­sia­mo inve­ce che sia neces­sa­rio un cam­bia­men­to strut­tu­ra­le e cul­tu­ra­le, che rimet­ta al cen­tro del discor­so, nobi­li­ti e dia risor­se a quel­le scuo­le che nel silen­zio, tut­ti i gior­ni, ope­ra­no per l’inclusione e per “rimuo­ve­re gli osta­co­li di ordi­ne eco­no­mi­co e socia­le” che la Costi­tu­zio­ne indi­ca come impe­di­men­to al pie­no svi­lup­po del­la per­so­na umana.

Quan­do una scuo­la (e la scuo­la, nel suo com­ples­so), si pre­sen­ta e agi­sce come “un ospe­da­le che cura i sani e respin­ge i mala­ti” in nome del prin­ci­pio di com­pe­ti­zio­ne con le sue con­cor­ren­ti, è la socie­tà tut­ta ad esse­re sconfitta.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.