C’è una sinistra — si fa per dire — che insegue la destra, è quella che ha governato per tutta la scorsa legislatura adottando politiche che hanno aperto la strada a ciò che è seguito e con cui abbiamo a che fare oggi. In questa estate dominata dal tema migranti, il Pd ha proseguito con convinzione questa strada, e ancora nelle ultime ore ha rivendicato con Gentiloni, Morani e altri la maggiore efficacia di Minniti nell’aumentare i rimpatri e fermare i soccorsi in mare, proprio mentre la Libia diventa un teatro di guerra come segno che l’intesa tanto ricercata dall’Italia sia da questo che dai governi precedenti era frutto quanto meno di una pessima intelligence, a star bassi. Si poteva impostare un lavoro lungo cinque anni di buona accoglienza, di gestione delle cose in quel clima di normalità che smentisse tutte le tesi della destra: che l’immigrazione sia un fenomeno emergenziale e non strutturale, che gli immigrati siano fonte di disagio sociale e delinquenza, ipotesi smentite da tutte le statistiche, che sia insomma in atto un’invasione. Si è scelto invece di alimentare questo fuoco, finché non è divampato un incendio e non se ne è perso il controllo, e con esso le elezioni.
Ma c’è poi un’altra sinistra, che insegue la destra. È una sinistra che accusa il Pd di questa pratica, ma nei fatti si allinea e a volte si spinge un po’ più in là arrivando a parlare di sovranismo, mascherato con formule tipo “patriottismo costituzionale”, come se al mondo e nella storia esistessero esempi virtuosi di nazionalismi che non hanno portato a limitazioni delle libertà civili, allo sfruttamento, alla dittatura, all’odio e alla povertà. Tra poche settimane è molto probabile che il tema dell’immigrazione diminuisca d’importanza, nel dibattito pubblico, sia per un fattore stagionale, sia perché il nostro Paese appare più debole che mai, dal punto di vista economico, proprio in vista della discussione sulla prossima finanziaria. I sostenitori della corrente di pensiero che ritiene il debito pubblico un fattore aleatorio, al pari della moneta, stanno già preparandosi a dare la colpa ai mercati cattivi, all’Europa e alla Germania. Anche a sinistra. Ma, al netto di istituzioni europee che in questi anni non sono certo state amministrate da sinistra e nel segno dell’equità, il nostro Paese ha un bisogno non differibile di vendere titoli di Stato per sostenere il proprio debito, ed è un bisogno che si ripete di mese in mese, continuamente, e che porta a una domanda molto semplice: investireste voi i vostri risparmi in questo Paese, in questo momento? Il governo Conte — pardon — il governo pentaleghista, vi restituisce una sensazione di affidabilità, di solidità, dareste con fiducia quel che avete risparmiato a Salvini o a Di Maio sapendo che lo faranno fruttare? La risposta è semplicissima, ed è negativa, altro che mercati cattivi.
Ora, a riflettere un momento appare ben curioso, questo fenomeno: quando mai, nella storia recente o anche in quella passata, è accaduto di vedere la destra inseguire la sinistra? Anche nei momenti in cui la destra è andata in crisi, soprattutto per la concorrenza interna del pensiero liberista, anche quando è stata lungamente all’opposizione, si è mai vista la Lega aprire un bel dibattito sulla necessità di aggiornare il proprio pensiero sui diritti, sulla democrazia, sui valori repubblicani? No, non si è mai visto, anzi se possibile la destra quando è minoranza nelle istituzioni radicalizza la propria posizione, rivaluta il fondamento del proprio pensiero, e semmai trova un modo per riproporlo in una veste nuova, il tutto mentre immancabilmente si dibatte sul superamento dei concetti stessi di destra a sinistra (ora non se ne dibatte più, chissà perché). Così la Lega degli inizi nacque sull’intuizione di mascherare un impianto sostanzialmente razzista con il localismo — e la sinistra, prontamente, divenne autonomista e localista — e in questi ultimi anni si è reinventata superando il legame geografico per divenire un partito più semplicemente di destra tradizionale, come altri ve ne sono in giro per l’Europa. Non ha “fatto la sinistra”, e il motivo è semplice: perché sarebbe stata una cosa stupida, incoerente agli occhi di chiunque, e non si capisce quindi perché sarebbe invece intelligente farlo da sinistra. Si è reinventata e all’inizio lo ha fatto — giova ricordarlo a proposito della abituale complicazione degli affari semplici — indossando una felpa. Una felpa: alla faccia di tutti i dibattiti e gli elzeviri pensosi.
Non si capisce, pertanto — e non è una tendenza alla quale vogliamo rassegnarci — perché la sinistra invece sia sempre all’inseguimento: lo è quando governa, perché si sposta di là soprattutto sotto il profilo delle politiche economiche, ammiccando ai poteri forti, e ancor più quando è all’opposizione, quando improvvisamente tra i suoi leader e persino tra i suoi militanti parte un dibattito sulla necessità di capire le ragioni “della pancia” dell’elettorato che ha scelto la destra, dove per “capire” si intende immancabilmente “sposare”. Il processo, peraltro, risulta anche molto comodo allo scopo di archiviare senza dover affrontare fino in fondo gli errori che si sono fatti al giro precedente. “Abbiamo governato bene, ma non abbiamo capito l’aria che tirava, dobbiamo allinearci allo spirito dei tempi”: un pensiero debolissimo, che si sdraia su quello avverso o al massimo balbetta di fronte a quello forte degli avversari. E quando un pensiero debole, che cede sui propri valori incapace di difenderli, incontra un pensiero forte, beh, la fine è nota. Così davvero, come diceva quel tale, non ce la faremo mai. Ed è anche molto comodo: molto più semplice far così che dover ammettere gli errori, e non ammettere gli errori consente a tutti di farsi un altro giro, e poi un altro ancora, e avanti all’infinito. Molto più comodo adeguarsi al sentimento comune, anche quando è terribile, che costruirne uno nuovo e lavorare per farlo diventare predominante. Più comodo, ma anche, tragicamente, fallimentare.