La strage non fermerà i ragazzi di Suruç

Quello che ti colpisce sono gli occhi. Che siano impegnati in conferenze per studiare il futuro del mondo, che siano riuniti per aiutare una popolazione in difficoltà o che siano intenti a lanciare un nuovo soggetto politico, quegli occhi non mentono. Gli sguardi dei ragazzi sono gli stessi perché esprimono allegria, fratellanza, spirito di cambiamento: in sostanza voglia di vivere.

Quel­lo che ti col­pi­sce sono gli occhi. Che sia­no impe­gna­ti in con­fe­ren­ze per stu­dia­re il futu­ro del mon­do, che sia­no riu­ni­ti per aiu­ta­re una popo­la­zio­ne in dif­fi­col­tà o che sia­no inten­ti a lan­cia­re un nuo­vo sog­get­to poli­ti­co, que­gli occhi non men­to­no. Gli sguar­di dei ragaz­zi sono gli stes­si per­ché espri­mo­no alle­gria, fra­tel­lan­za, spi­ri­to di cam­bia­men­to: in sostan­za voglia di vivere.
Poi ti col­pi­sce l’analogia tra le date e le cifre: 22 luglio 2011 ad Utøya cir­ca 600 ragaz­zi, 69 ucci­si e 66 feri­ti; 20 luglio 2015 a Suruç cir­ca 300 ragaz­zi, 31 ucci­si e più di 100 feriti.

Infi­ne ti col­pi­sce la vici­nan­za di valo­ri ed inten­ti: a Suruç c’era un grup­po del­le gio­va­ni­li socia­li­ste tur­che (SGDF) anda­ti a por­ta­re aiu­to e soli­da­rie­tà ai cur­di siria­ni (sta­va­no orga­niz­zan­do la par­ten­za per Koba­ne, dove avreb­be­ro dovu­to costrui­re una biblio­te­ca e un par­co gio­chi), ad Utøya c’era il cam­peg­gio annua­le dei gio­va­ni socia­li­sti nor­ve­ge­si (AUF) . E ti vie­ne in men­te che potre­sti esse­re nel­le stes­se con­di­zio­ni: tu che eri a discu­te­re di poli­ti­ca e di spe­ran­za in un mon­do nuo­vo al #Poli­ti­Camp di Firen­ze e a fare gli stes­si discor­si che si sareb­be­ro sen­ti­ti in Nor­ve­gia ed in Turchia.

“Ad Ama­ra ho cono­sciu­to alcu­ne ragaz­ze che arri­va­va­no da Raq­qa – ci rac­con­ta Mar­ti­na Bian­chi, coo­pe­ran­te ita­lia­na – il fra­tel­lo le ha nasco­ste nel momen­to in cui la Siria è diven­ta­ta tea­tro di guer­ra e attra­ver­so can­zo­ni, film e libri han­no impa­ra­to l’inglese. Sono poi scap­pa­te a Koba­ne e da lì a Suruç: ai tavo­li­ni del cen­tro cul­tu­ra­le mi han­no rac­con­ta­to del­la con­ten­tez­za per aver potu­to toglier­si il velo per la pri­ma vol­ta nel­la loro vita e cam­mi­na­re con jeans e magliet­ta, insie­me a tut­ti discor­si che si fan­no da ragaz­zi: dove viag­gia­re e cosa studiare.”

Oltre ad esse­re soli­da­li con le vit­ti­me e a con­dan­na­re l’attentato sia­mo d’accordo che non sia pos­si­bi­le “cre­pa­re a ven­t’an­ni men­tre si va a fare atti­vi­smo paci­fi­co e volon­ta­ria­to”. E allo­ra segna­lia­mo i pre­si­di orga­niz­za­ti in mol­te cit­tà ita­lia­ne ma cer­chia­mo anche di capi­re cosa sta suc­ce­den­do da quel­le par­ti per far­ci un’idea del per­ché di que­sto ulti­mo ter­ri­bi­le eccidio.
“Sono anda­ta due vol­te in quel­le zone – con­ti­nua Mar­ti­na Bian­chi – la pri­ma con Giu­ri­sti Demo­cra­ti­ci (IADL) per stu­dia­re la situa­zio­ne e dare una mano sul pia­no giu­ri­di­co, la secon­da come respon­sa­bi­le lega­le del­la mez­za­lu­na ros­sa: abbia­mo por­ta­to 28.000 € spe­si poi in loco per acqui­sta­re gene­ra­to­ri elet­tri­ci, scor­te d’acqua, mac­chi­na­ri sanitari.”

Suruc-1

Qual è la situa­zio­ne nel­la zona? “Al di là del­la resi­sten­za mili­ta­re di Koba­ne la cosa anco­ra più rile­van­te è che i cur­di siria­ni stan­no cer­can­do di svi­lup­pa­re un inte­res­san­te pro­get­to poli­ti­co e socia­le. Per la pri­ma vol­ta non si fa più qual­co­sa di iden­ti­ta­rio solo per i cur­di ma che par­li a tut­te le mino­ran­ze, tut­te le etnie, tut­te le piat­ta­for­me esi­sten­ti (dall’equivalente dell’arci, agli scout, ai movi­men­ti del­le don­ne, alle coo­pe­ra­ti­ve) che si sono dati strut­tu­re inno­va­ti­ve basa­te sull’autonomia, sul fem­mi­ni­smo, sul­la resi­sten­za par­ti­gia­na e sul­la con­di­vi­sio­ne del­le risorse.”

Rac­con­ta­ci meglio que­sta espe­rien­za. “Alla fine del 2012 le 3 regio­ni a mag­gio­ran­za cur­da nel nord del­la Siria di Jazi­ra, Koba­ne e Afrin, han­no costrui­to una for­ma di auto­go­ver­no per rispon­de­re al crol­lo del gover­no siria­no. Que­sto espe­ri­men­to è par­ti­to uffi­cial­men­te nel gen­na­io 2014 in cui que­sti “can­to­ni” han­no riu­ni­to un’assemblea costi­tuen­te aper­ta alla socie­tà civi­le e han­no scrit­to una Costi­tu­zio­ne det­ta “Car­ta del con­trat­to socia­le” di Roja­va, avan­za­tis­si­ma anche rispet­to alle costi­tu­zio­ni euro­pee, con prin­ci­pi come pie­ni dirit­ti alle don­ne, con­di­vi­sio­ne dei beni comu­ni e del­le risor­se natu­ra­li, rispet­to dell’equilibrio ecologico.
Per arri­va­re a que­sto han­no stu­dia­to la Repub­bli­ca roma­na e la Repub­bli­ca di San Mar­co del 1948, Gram­sci, Ros­seau, l’anarchismo eco­lo­gi­co di Boo­k­chin e si sono ispi­ra­ti alle auto­no­mie del Cha­pas: comu­ni­tà che si auto­ge­sti­sco­no fede­ra­te in una sor­ta di con­fe­de­ra­li­smo demo­cra­ti­co. Qual­sia­si cari­ca, dal­le muni­ci­pa­li­tà, alle gerar­chie mili­ta­ri, ai respon­sa­bi­li di quar­tie­re, è dop­pia: for­ma­ta quin­di da un uomo e da una don­na. L’assemblea legi­sla­ti­va di Roja­va che rag­grup­pa i 3 can­to­ni è for­ma­ta al 40% da uomi­ni, al 40% da don­ne e al 20% è varia­bi­le a secon­da del­le preferenze.”

L’esperimento sta fun­zio­nan­do? “Sì, chi lo sta por­tan­do avan­ti nono­stan­te le estre­me dif­fi­col­tà sono le don­ne, infat­ti si sono crea­te coo­pe­ra­ti­ve, scuo­le, nego­zi for­ma­ti da donne.
Il mes­sag­gio quin­di è for­tis­si­mo: i cur­di siria­ni si pro­pon­go­no come model­lo civi­le, socia­le e poli­ti­co, di rispet­to ver­so tut­te le mino­ran­ze etni­co-reli­gio­se ed asso­lu­ta­men­te alter­na­ti­vo al radi­ca­li­smo dell’ISIS ma anche all’autoritarismo che ave­va carat­te­riz­za­to quel­la par­te del mondo.
L’esperimento però non è visto bene dal­le auto­ri­tà tur­che infat­ti il con­fi­ne è chiu­so, non arri­va­no aiu­ti dal gover­no tur­co e sono bloc­ca­te le agen­zie tipo UNHCR, inol­tre gli espo­nen­ti più rile­van­ti sono vit­ti­me di repres­sio­ne con­ti­nua a livel­lo di arre­sti indi­scri­mi­na­ti e vio­len­za del­la polizia.”

Qua­li sono le rela­zio­ni nell’area? “Il par­ti­to Unio­ne demo­cra­ti­ca (PYD) che è alla base di que­sti svi­lup­pi in Siria è l’altra fac­cia del­la meda­glia del par­ti­to del Popo­lo demo­cra­ti­co (HDP) in Tur­chia che ha rovi­na­to la festa ad Erdo­gan nel­le ele­zio­ni di giu­gno con­qui­stan­do il 12,8% e inchio­dan­do l’AKP al 40,8% impe­den­do­gli di arri­va­re alla mag­gio­ran­za asso­lu­ta che gli avreb­be per­mes­so di modi­fi­ca­re la Costituzione.
In quell’area ci sono ten­do­po­li di miglia­ia e miglia­ia di per­so­ne soste­nu­te solo dal­la soli­da­rie­tà inter­na ma la gen­te è orgo­glio­sa di quel­lo che sta facen­do: vuo­le resta­re a rico­strui­re la cit­tà di Koba­ne e non vuo­le anda­re in Euro­pa. Insom­ma non han­no nien­te ma ci cre­do­no, il loro model­lo di vita sta riscuo­ten­do suc­ces­so: l’attentato di 2 set­ti­ma­ne ave­va pro­prio lo sco­po di inti­mi­di­re la gen­te che sta­va tor­nan­do per la ricostruzione.”

Cosa ci puoi dire del cen­tro Ama­ra? “È un luo­go sim­bo­li­co per Suruç che è una pic­co­la cit­tà di ven­ti­mi­la abi­tan­ti: veni­va usa­to come cen­tro cul­tu­ra­le per incon­tri, cam­pi scuo­la, poi è diven­ta­to  pun­to di smi­sta­men­to dei pro­fu­ghi al momen­to del­la fuga da Koba­ne, infi­ne è rima­sto come cen­tro di soli­da­rie­tà e pun­to di ritro­vo. Tut­ti i coo­pe­ran­ti e i gior­na­li­sti ci sono sta­ti per cer­ca­re con­tat­ti e tut­ti tro­va­va­no da dor­mi­re e da man­gia­re. Col­pi­re quel posto vuol dire col­pi­re la soli­da­rie­tà inter­na­zio­na­le, quel­li che van­no ad aiu­ta­re i cur­di: lo sco­po è inti­mi­di­re affin­ché nes­su­no vada più ad aiu­ta­re la popolazione.”

Ecco quin­di l’ultima ana­lo­gia: le armi per fer­ma­re il pro­gres­so, per evi­ta­re l’emancipazione del­la popo­la­zio­ne e per ten­ta­re di bloc­ca­re chi por­ta aiu­to e chi por­ta pen­sie­ri, idee, ovve­ro quan­to di più peri­co­lo­so pos­sa esser­ci per chi non vuo­le che nien­te cam­bi, nien­te miglio­ri, nien­te progredisca.
E allo­ra pren­do in pre­sti­to una fra­se di Jens Stol­tem­berg, il Pre­si­den­te del Con­si­glio nor­ve­ge­se di 4 anni fa: “nes­su­no ci ridur­rà al silen­zio, né con le bom­be, né con le pistole.”

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