La tassa globale di Joe Biden non basta

Qual­co­sa è cam­bia­to dall’altra par­te dell’oceano Atlan­ti­co. D’altronde la cri­si eco­no­mi­ca con­se­guen­te alla cri­si sani­ta­ria richie­de uno sfor­zo al di fuo­ri di ogni cano­ne. Que­sto sem­bra esse­re chia­ro al pre­si­den­te degli Sta­ti Uni­ti: infat­ti, il suo pac­chet­to di sti­mo­li da 2 tri­lio­ni di dol­la­ri non sarà cam­pa­to per aria, non vivrà di solo mag­gio­re debi­to, ben­sì dovrà esse­re soste­nu­to da una for­te mano­vra fisca­le rivol­ta all’incremento del­la tas­sa­zio­ne per i più ric­chi e al con­tra­sto dell’elusione fisca­le del­le cor­po­ra­tions.

Visto dal timi­do e divi­so con­ti­nen­te euro­peo, tut­to ciò risuo­na come un’incredibile svol­ta. Quan­to sem­bra­no minu­sco­le le nostre pro­spet­ti­ve, quel­le matu­ra­te sul mode­sto — al con­fron­to — Next Gene­ra­tion Eu di Ursu­la von Der Leyen. Lad­do­ve l’Europa bal­bet­ta di più, in quel cam­po del­la poli­ti­ca fisca­le che non è resa comu­ni­ta­ria ed è pre­da­ta con­ti­nua­men­te dal­le mul­ti­na­zio­na­li, Joe Biden si appre­sta a diven­ta­re il lea­der mon­dia­le di una rifor­ma epo­ca­le. Qua­lo­ra tut­to andas­se per il ver­so giu­sto, ovvia­men­te. Per­ché l’obiettivo del pre­si­den­te e di Janet Yel­len, segre­ta­rio al Teso­ro, è pun­ta­to là dove pochi han­no osa­to sino­ra, il bot­ti­no dei pro­fit­ti off­sho­re del­le mul­ti­na­zio­na­li. E in que­sto cam­po, il rischio di ulte­rio­ri sofi­sti­ca­zio­ni e pra­ti­che elu­si­ve è sem­pre die­tro l’angolo.

L’intenzione di Biden e Yel­len è quel­la di pro­por­re in seno all’OECD una pro­po­sta di tas­sa glo­ba­le mini­ma sui pro­fit­ti del­le impre­se. L’o­biet­ti­vo è por­re fine a quel­la che il segre­ta­rio al Teso­ro ha defi­ni­to in un discor­so «una cor­sa al ribas­so di 30 anni sul­le ali­quo­te del­l’im­po­sta sul­le socie­tà», una cor­sa scor­ret­ta, aggiun­gia­mo noi, che ha crea­to le con­di­zio­ni per una assur­da com­pe­ti­zio­ne fisca­le tra Sta­ti, che ha per­mes­so alle cor­po­ra­tions di sot­trar­re alle fisca­li­tà nazio­na­li alme­no il 40% dei pro­fit­ti gene­ra­ti. Let­te­ral­men­te un fur­to, su cui cer­ta­men­te il gover­no fede­ra­le degli USA ha chiu­so tut­ti e due gli occhi per anni, anche duran­te le due ammi­ni­stra­zio­ni Oba­ma, con­sa­pe­vo­le del regi­me di favo­re che le pro­prie mul­ti­na­zio­na­li han­no godu­to sino­ra. D’altronde, il fat­to che sia pro­prio il pre­si­den­te degli Sta­ti Uni­ti a met­te­re in discus­sio­ne tale regi­me, la dice lun­ga sul­la gra­vi­tà del momento.

La pro­po­sta di Biden si con­cre­ta in una tas­sa­zio­ne com­ple­men­ta­re che si atti­va nei casi in cui le mul­ti­na­zio­na­li abbia­no sede nei pae­si a fisca­li­tà age­vo­la­ta: il gover­no fede­ra­le appli­che­rà un’aliquota aggiun­ti­va sino alla con­cor­ren­za del­la soglia mini­ma del 21%.

Que­sto ina­spri­men­to fisca­le non sem­bra però esse­re riso­lu­ti­vo nei riguar­di del­le pra­ti­che elu­si­ve e di ero­sio­ne del­la base impo­ni­bi­le. Resta da capi­re infat­ti cosa Biden deci­de­rà di fare rispet­to alle scap­pa­to­ie pre­sen­ti sul suo­lo ame­ri­ca­no. Cosa suc­ce­de­rà al Dela­ware, para­di­so fisca­le a domi­ci­lio del­le mul­ti­na­zio­na­li non­ché resi­den­za del pre­si­den­te? Pro­ba­bil­men­te nien­te. Infat­ti lo sta­to ame­ri­ca­no è lea­der nel­la spor­ca com­pe­ti­zio­ne su dirit­to socie­ta­rio e tas­sa­zio­ne degli uti­li. Anche se le socie­tà ivi resi­den­ti sono comun­que sog­get­te alla tas­sa­zio­ne fede­ra­le, sugli uti­li pro­dot­ti nel Dela­ware vie­ne pre­le­va­to solo l’8,7% e inol­tre il dirit­to socie­ta­rio offre il com­ple­to ano­ni­ma­to di soci e ammi­ni­stra­to­ri. Un como­do posto all’om­bra, insom­ma. È impro­ba­bi­le che zio Joe dia grat­ta­ca­pi all’el­do­ra­do del­le socie­tà fan­ta­sma, se non altro per­ché si trat­te­reb­be di far­lo in casa pro­pria, nel pro­prio seg­gio elet­to­ra­le. Nor­ma­le e scon­ta­to che la recru­de­scen­za fisca­le di Washing­ton sia rivol­ta alla com­pe­ti­zio­ne fisca­le sul pia­no inter­na­zio­na­le. È su que­sto livel­lo che gli USA si appre­sta­no ad agi­re con la tas­sa­zio­ne com­ple­men­ta­re e inten­do­no far­lo con un accor­do a livel­lo inter­na­zio­na­le. Sen­z’al­tro un pas­so in avan­ti, ma non suf­fi­cien­te, in pri­mo luo­go per­ché det­ta­to qua­si esclu­si­va­men­te dal­la neces­si­tà di recu­pe­ra­re get­ti­to e di non soc­com­be­re alle dina­mi­che del­la com­pe­ti­zio­ne fisca­le inter­na­zio­na­le. In secon­do luo­go, per­ché non ispi­ra­to da una rea­le inten­zio­ne di giu­sti­zia redistributiva.

Scri­ve Tho­mas Piket­ty che que­sta pro­po­sta resta comun­que insuf­fi­cien­te se non si inse­ri­sce in una “pro­spet­ti­va più ambi­zio­sa per rista­bi­li­re la pro­gres­si­vi­tà del­le tas­sa­zio­ni a livel­lo per­so­na­le”. Anche le idee avan­za­te dal­l’OC­SE sul­la tas­sa­zio­ne dei patri­mo­ni sono di pic­co­lo cabo­tag­gio: rea­liz­ze­reb­be­ro un get­ti­to di appe­na 100 miliar­di a livel­lo glo­ba­le. In ogni caso, la redi­stri­bu­zio­ne a livel­lo inter­na­zio­na­le non è nean­che all’or­di­ne del gior­no: eppu­re i pae­si del sud del mon­do sono costan­te­men­te depre­da­ti di risor­se e mate­rie pri­me per ali­men­ta­re il siste­ma pro­dut­ti­vo occi­den­ta­le. Su di essi, tra l’al­tro, rica­dran­no i costi esor­bi­tan­ti — fat­ti di depe­ri­men­to dei ter­ri­to­ri, di per­di­te di vite uma­ne, di migra­zio­ni for­za­te dal­la minac­cia del­la per­di­ta di ogni affet­to e del­la can­cel­la­zio­ne del­la pro­pria esi­sten­za — dovu­ti al cam­bia­men­to cli­ma­ti­co gene­ra­to dal­l’u­so dei com­bu­sti­bi­li fos­si­li. Una dop­pia ingiu­sti­zia che nes­su­na tas­sa glo­ba­le è per ora in gra­do di riparare.

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