[vc_row][vc_column][vc_column_text]Il progetto per la Torino-Lione è stato sconfessato dal governo, che ha così dato ragione al movimento NOTAV. La certezza della sua dipartita si può rintracciare in due documenti governativi passati all’approvazione sul finire dell’anno scorso e notati da pochi, nei quali è scritto chiaramente che i presupposti economici dell’opera si sono rivelati (molto) sbagliati, come sostenuto dal movimento NOTAV, e che quindi occorre ripensare l’opera, fino al punto da chiedersi se non sia il caso di rinunciarvi. Purtroppo questa conclusione non ha demotivato del tutto i promotori dell’opera, che lasciano aperta la possibilità che l’opera possa resuscitare dalle sue ceneri mentre si darà esecuzione agli appalti e alle opere fin qui approvate.
Un esito che rappresenta una bocciatura sonora del progetto, non c’è più nessun organo tecnico o politico che ne sostenga — qui e ora — la realizzazione così com’è stata sostenuta per anni. Purtroppo sul progetto sono stati in troppi a scommettere fortune e carriere politiche e così sembra che sia diventato impossibile decretarne ufficialmente la morte. Così si continueranno a realizzare alcune opere propedeutiche e comunque migliorative della rete, rimandando la sentenza di morte per il discusso tunnel a un futuro nel quale forse qualcuno proporrà di farlo lo stesso, perché si è già investito tanto e si sono già fatti tanti lavori. Almeno questo sembra lo spiraglio lasciato aperto dalla trovata del «fasaggio», l’espediente con il quale è stato spezzettato il progetto in modo che si potesse procedere con alcune opere, pur in mancanza di consenso per la costruzione del punto qualificante del progetto, il contestatissimo tunnel e la relativa nuova linea.
Un espediente retorico ridicolo, se non fosse che vale miliardi di euro, basti pensare che il termine fasaggio è stato inventato dai sostenitori dell’opera e non esiste nei vocabolari, ma solo sui documenti relativi alla discussa opera. Tutto per evitare d’ammettere che il progetto del tunnel non è approvato né finanziato e che non si sa se lo sarà mai, la conclusione alla quale si è giunti ufficialmente solo ora. La storia dell’opera è piena di questi espedienti retorici: pochi tra gli estranei alla contesa sanno ad esempio che la linea in questione non è ad «altra velocità», ma che è invece dedicata primariamente alle merci, per le quali la velocità è un requisito non tanto importante. Ma l’alta velocità ha una buon appeal presso l’opinione pubblica e questo espediente ha permesso ai sostenitori dell’opera d’inquadrare all’opera come contraria all’alta velocità, sinonimo di modernità e progresso.
Il tunnel comunque si comincerà a scavare lo stesso, penetrando per 9 chilometri nella montagna per vedere cosa c’è sotto, almeno questo è stato deciso e c’è da essere sicuri che quei 9 chilometri di tunnel «geognostico» costruito «come se» fosse l’imboccatura del futuro tunnel, in futuro saranno un argomento nelle mani di chi proporrà di costruire comunque l’opera. Un’opportunità che l’Osservatorio lascia aperta, suggerendo che un futuro calo dei costi di costruzione potrà forse renderla economicamente vantaggiosa, anche se ora non è giustificata dai volumi di traffico.
La Torino — Lione è stata infatti approvata da Francia e Italia e in seguito benedetta dall’Europa sulla base di una valutazione dei costi e dei benefici fondata su previsioni di un aumento di traffico sulla linea assolutamente irrealistiche. Che fossero irrealistiche lo avevano dimostrato fin da subito i contrari all’opera, ma i governi che dal 2001 all’altro ieri hanno siglato accordi e spinto l’opera non hanno avuto orecchie per le obiezioni razionali, preferendo criminalizzare chi si opponeva all’opera al punto di accostarlo al terrorismo e ai terroristi. Una campagna calunniosa che è andata avanti per anni, con alcuni tra politici, magistrati e giornalisti che hanno dato uno spettacolo penoso, usando contro le comunità locali e il movimento contrario all’opera numerosi espedienti scorretti e menzogne, in maniera pervicace e raramente osservata in casi simili. Perché sia accaduto non è difficile da capire: l’alta velocità in Italia è una miniera d’oro per chi si siede al tavolo delle opere e di sicuro l’enorme differenza nel costo a chilometro con quella degli altri paesi, europei e no, non si giustifica con la superiore qualità o difficoltà delle opere nel nostro paese. Dati che forse spiegano anche perché l’Italia si sia accollata la maggior parte del costo dell’opera, finanziando di fatto i francesi a fondo perduto e convincendoli così a siglare l’accordo.
A fugare ogni dubbio, la morte del contestato progetto è stata sancita anche in maniera formale, nel documento intitolato
«Presidenza del Consiglio dei Ministri OSSERVATORIO PER L’ASSE FERROVIARIO TORINO — LIONE ADEGUAMENTO DELL’ASSE FERROVIARIO TORINO — LIONE
VERIFICA DEL MODELLO DI ESERCIZIO PER LA TRATTA NAZIONALE LATO ITALIA FASE 1- 2030»
Ove si legge che la Nuova Linea Torino — Lione non esiste più. Ha cambiato nome e si è trasformata in «adeguamento dell’asse ferroviario Torino Lione» fin dall’intestazione del documento:
2.2.
LA SITUAZIONE CONSOLIDATA DEL PROGETTO
A seguito delle complesse evoluzioni progettuali, procedimentali e della decisione del fasaggio, la cornice decisionale inerente la realizzazione della Nuova Linea Torino — Lione – NLTL si configura ora come “Adeguamento dell’Asse Ferroviario Torino — Lione – AFTL”.
Il quadro progettuale è ora costituito da interventi, la cui realizzazione è già stata decisa in via definitiva, che si affiancano ad altri ancora oggetto di valutazione.
Una modifica che il sito della Regione Piemonte non ha ancora recepito. Addentrandosi nel documento s’incontra una lunga riflessione dalla quale emerge la decisione di «continuare a costruire» le opere fin qui finanziate e al contempo di rimettere in discussione il futuro stesso del contestato traforo transalpino, magari finendo proprio per abbracciare l’idea del potenziamento della linea esistente come suggerito dai NOTAV:
«Di fronte ai cambiamenti, sorge allora spontanea la domanda: «avessimo saputo ciò che in seguito è accaduto, avremmo preso la stessa decisione?». È una domanda lecita, ma che interessa gli studiosi e gli storici. La domanda che i decisori devono farsi è invece un’altra: «al punto in cui siamo arrivati, avendo realizzato ciò che già abbiamo fatto, ha senso continuare come previsto allora?
Oppure c’è qualcosa da cambiare? O, addirittura, è meglio interrompere e rimettere tutto com’era prima?».
Non sembra proprio che abbia senso continuare come prima, visto che lo stesso documento afferma che le previsioni sulle quali è fondato il progetto si sono rivelate del tutto sballate e che anche il mondo del trasporto è cambiato da allora. Ma il documento contiene anche una formidabile excusatio non petita nella quale si afferma che, se le previsioni furono sbagliate, non fu colpa di nessuno, perché nessuno poteva prevedere l’arrivo della grande crisi del 2008 e le sue conseguenze di lungo periodo, per concludere che comunque fu colpa dell’Europa.
In realtà ben prima della crisi c’era stato chi aveva studiato e dimostrato che quelle previsioni erano del tutto irrealistiche. Vale comunque la pena d’apprezzare l’esercizio retorico:
La polemica degli oppositori alla costruzione del tunnel di base e delle varianti alla linea insiste sul fatto che le analisi a suo tempo fatte siano state “viziate e manipolate” con il fine evidente di inficiare il processo di approvazione giunto ormai al suo termine. Su questo terreno si ritiene che la risposta debba essere formale.
Meglio evitare fastidiose discussioni nel merito…
La sostanza è stata ampiamente dibattuta molti anni fa: non ha quindi senso tornare a discutere il merito di argomenti già discussi e sui quali si è già giunti ad una decisione. Le previsioni fatte e i parametri utilizzati rientrano nel campo di valutazioni tecniche che, essendo legate alla previsione di fenomeni incerti e di lungo periodo, non possono non avere un elevato margine di aleatorietà.
Non c’è dubbio, infatti, che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti, soprattutto per effetto della grave crisi economica di questi anni, che ha portato anche a nuovi obiettivi per la società, nei trasporti declinabili nel perseguimento di sicurezza, qualità, efficienza. Lo scenario attuale è, quindi, molto diverso da quello in cui sono state prese a suo tempo le decisioni e nessuna persona di buon senso ed in buona fede può stupirsi di ciò. Occorre quindi lasciare agli studiosi di storia economica la valutazione se le decisioni a suo tempo assunte potevano essere diverse.
Mettiamoci una pietra sopra e non parliamo di malafede, è stata colpa della crisi.
Difendere quelle premesse, sulle quali fino a ieri hanno giurato tutti i favorevoli all’opera, sarebbe un disastro come quello che ci si è appena lasciati alle spalle con oltre 25 anni persi a giocare a guardie e ladri in Val di Susa e a litigare nei tribunali. Ecco allora che nel documento spunta l’idea di proporre l’opera non più come un utile e più ecologico attraversamento delle Alpi, ma come parte di un’immaginifica linea che correrà dal Sud della Spagna fino alla Cina. L’idea però sconta lo stesso difetto di quella originale, perché crisi o non crisi il traffico merci e passeggeri sull’asse Est-Ovest in Europa non cresce.
Cresce invece quello Nord — Sud ed è abbastanza facile capire perché, visto da Est a Ovest l’Europa, e in particolare quella del Sud, è coperta di porti. Ma mai dire mai, la speranza è l’ultima a morire, anche del favoloso Corridoio 5 che secondo le istituzioni europee doveva correre da Lisbona a Kiev, è orfano di Portogallo, Slovenia, Ungheria e Ucraina e che — sorpresa — non è dedicato alle merci che qui da noi si dice che dovrebbero far passare per la Val di Susa, ma ai passeggeri. Non è difficile capire come si sia arrivati a chiamare così i NOTAV anche se l’alta velocità per i passeggeri non è mai entrata nel progetto, la confusione è stata figlia di queste incertezze sulla natura stessa dell’opera, di fronte alle quali si è comunque deciso di tirar dritto e di fare una nuova linea bucando le montagne.
Comunque quelli dell’Osservatorio sono sicuri che in Italia non ha sbagliato nessuno, nemmeno chi ha difeso l’opera contro ogni evidenza, la colpa di tutto è dell’Europa:
Si deve rilevare che le previsioni della Commissione Europea hanno ampiamente sovrastimato il traffico merci perché non hanno saputo, come nella quasi generalità dei casi, prevedere l’intensità e la durata della crisi: è questo il principale motivo della sovrastima del traffico, molte volte, e giustamente, messa in evidenza in questi anni.
Purtroppo però non ci sono solo le previsioni di traffico a remare contro, perché l’esperienza ha dimostrato che la stessa idea di business sulla quale è stata costruita l’opera è da buttare:
Accanto a questo fenomeno però, si deve prendere atto di un secondo scostamento dalle previsioni iniziali: sotto la pressione competitiva del “tutto strada”, è cambiato il modello di funzionamento del servizio ferroviario, che ha beneficiato sia della straordinaria e esperienza di esercizio delle ferrovie svizzere e sia della progressiva affermazione dei nuovi standard europei nonché delle STI. L’esperienza ha infatti dimostrato che l’uso della ferrovia per il trasporto accompagnato nella tratta alpina non è sostenibile sotto il profilo economico, seppure adatto al rispetto dei vincoli imposti dal cronotachigrafo per il trasporto su strada, dal contingentamento al traffico d’attraversamento su un territorio (es. quello svizzero) e a garantire il traffico nel caso di eventi critici (chiusura di un tunnel, abbondanti nevicate, manifestazioni di protesta lungo le autostrade alternative, ecc.)…
A margine c’è da aggiungere che l’imminente rivoluzione del trasporto su strada, in particolare per quel che riguarda i veicoli a guida assistita o autonoma e la trazione elettrica, potrebbe modificare drasticamente il panorama del trasporto merci da qui a quando l’ormai fantomatico tunnel potrebbe vedere la luce.
Questa notevole svolta, che si cerca evidentemente di far passare sottotraccia, non rappresenta un problema per il rapporto con la Francia, che anzi è arrivata prima dell’Italia a far propria la convinzione che l’opera così com’era progettata fosse da bocciare. L’equivalente francese della Corte dei Conti ha bocciato la sostenibilità finanziaria dell’opera già da tempo e recentemente anche il Conseil d’orientation des infrastructures ha rimandato il progetto a una nuova valutazione del rapporto costi/benefici per quel che riguarda la nuova galleria, dando il via libera solo alle opere di potenziamento del nodo di Lione, per le quali comunque il Consiglio ha chiesto una revisione del rapporto costi/benefici e della valutazione strategica dell’opera.
Purtroppo però, quella che sembra la parola fine al progetto si traduce in realtà in un rilancio e nell’auspicio che nuovi studi e nuovi motivi intervengano a stimolare la sua rinascita e tra i motivi che in futuro stimoleranno la ripresa del progetto ci saranno sicuramente le spese fatte le opere già previste, quelle opere che oggi potrebbero essere fermate e che invece non lo saranno.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]