Pochi giorni fa, in Emilia Romagna, sia l’assessore al Turismo Corsini che il presidente Bonaccini hanno preso posizione in senso nettamente contrario al progetto di parco eolico nell’Adriatico davanti alle coste della Romagna. Ieri Eni ha annunciato il “più grande centro al mondo di cattura e stoccaggio di anidride carbonica”, che si farà a Ravenna, perché, dicono, “… non possiamo pensare di trasformare tutta l’energia esistente in prodotti completamente verdi” e che si tratta di un progetto “che ha ricevuto pieno sostegno sia del governo, in primis del premier Giuseppe Conte, sia delle autorità locali, a cominciare dal governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, perché è un’iniziativa industriale che consentirà di mantenere la forza lavoro impegnata nel distretto e, in prospettiva, di procedere a nuove assunzioni”. In senso nettamente contrario si è espresso il Prof. Vincenzo Balzani, anche nell’ambito degli Stati Generali organizzati dal Premier Conte.
Il progetto di Eni, che vuol costruire il più grande centro mondiale per lo stoccaggio dell’anidride carbonica (CO2) a Ravenna, è un enorme rischio finanziario senza certezze dal punto di vista climatico e ambientale”. Vincenzo Balzani, chimico, docente emerito dell’Università di Bologna e coordinatore di Energia per l’Italia boccia senza mezzi termini l’operazione Eni annunciata dal premier Giuseppe Conte alla fine degli Stati generali. Analizzando infatti le strategie per l’azzeramento delle emissioni di anidride carbonica, il chimico cita anche il Carbon Capture and Sequestration, con la cattura della CO2 emessa o già in atmosfera e il suo immagazzinamento in giacimenti esauriti di idrocarburi mettendo in fila le criticità. Lo stoccaggio nel sottosuolo, attacca, “è rischioso perché non sono noti i suoi effetti sismici” e il rischio “è ancora maggiore in una zona fragile come la costa di Ravenna, dove sono in corso significativi fenomeni di subsidenza”. In teoria, prosegue, può compensare le emissioni derivate dalla produzione di energia da fonti fossili, mantenendo quasi invariata l’attuale proporzione tra fonti energetiche rinnovabili e fossili, “tuttavia, i combustibili fossili sono limitati, quindi questa soluzione non può essere strutturale, ma solo temporanea, rendendo estremamente critici gli aspetti economico-finanziari dell’investimento”. Altra questione è che “la cattura di CO2 all’interno degli impianti di produzione di energia da fonti fossili riduce le prestazioni del 10%-20%” quindi “i costi di produzione dell’energia sarebbero sostanzialmente raddoppiati”. In alternativa, si può catturare la CO2 dall’aria, “anche se non esistono tecnologie mature e verificate”, aggiunge il docente. Oppure, prosegue, si può catturare la CO2 all’interno di impianti di conversione di biomasse in energia, opzione che “avrebbe un forte impatto sull’uso del suolo agricolo e sulle emissioni di metano e NOx”. E ancora, per Balzani oggi “non esistono progetti industriali maturi relativi al Carbon Capture and Sequestration, si è ancora alla fase di ricerca”. Basta pensare che “in Norvegia, che è il maggiore produttore europeo di idrocarburi, un report indipendente commissionato dal Governo ha analizzato la possibile realizzazione di un impianto di stoccaggio di CO2 nei giacimenti esauriti del Mare del Nord”. Ebbene “è stato valutato un potenziale disastro finanziario e il Governo sta valutando di sospendere il progetto”. Insomma, “non è opportuno investire ingenti risorse pubbliche nella realizzazione di un sistema di stoccaggio di CO2, perché i risultati non sono garantiti, né dal punto di vista della sicurezza, né dal punto di vista climatico”. Le stesse risorse, conclude Balzani, “debbono essere investite sulle energie rinnovabili, sugli impianti di accumulo di energia elettrica, sull’efficienza energetica degli edifici e delle attività produttive e commerciali, settori con alta intensità di occupazione”. Cioè “su tecnologie mature e disponibili che garantiscono una rapida riduzione delle emissioni a effetto serra, tecnologie che attendono solo di essere utilizzate”.
Tutto questo accade in un silenzio politico irreale. L’unico soggetto che al momento ha preso posizione, in senso ugualmente contrario, è Legambiente. Possibile concorda e fa sue le puntuali osservazioni critiche del Prof. Balzani, ritenendo che ben difficilmente si arriverà, come da programma regionale, all’azzeramento delle emissioni climalteranti entro il 2050, e al passaggio al 100% di energie rinnovabili entro il 2035, con un progetto che va in senso diametralmente opposto, e viene giustificato, al solito, con i presunti posti di lavoro (che sarebbero ugualmente ricavabili da progetti sulle rinnovabili, come, appunto, l’eolico). Auspichiamo quindi che il progetto venga fermato e che si ritorni al programma concordato e votato dagli elettori. Emilia-Romagna Possibile