Tra gli obiettivi politici fondanti del Patto Repubblicano, che molti di noi hanno recentemente sottoscritto con entusiasmo e determinazione, c’è la “riconversione ecologica di economia e società”.
L’urgenza di questa rivoluzione è ormai drammaticamente sempre più evidente, anche sul piano del diritto e della giustizia.
Sei milioni di cittadini italiani sono esposti a fattori di inquinamento grave che ne mette a rischio quotidianamente la salute, spesso in maniera subdola e “invisibile”.
Un vero e proprio “popolo inquinato” che dal caso eternit alla terra dei fuochi, dall’Ilva alle raffinerie siciliane, dalla Basilicata devastata dalle estrazioni petrolifere alla discarica di Bussi chiede giustizia senza ottenerla.
Ce lo ricordano a gran voce associazioni ambientaliste come Legambiente (che ha coniato il termine ECO-mafia proprio per rendere plastico ed evidente l’intreccio indistricabile tra criminalità organizzata e gestione di infrastrutture ambientali, tra cui troneggiano i rifiuti e le bonifiche) o come l’associazione Libera di don Ciotti, da sempre impegnata a tenere alta l’attenzione sui terreni su cui la criminalità costruisce i suoi imperi.
I reati ambientali, che non hanno la giusta collocazione nel codice penale, non possono essere, di fatto, adeguatamente puniti e le magistrature hanno spesso le mani legate, anche di fronte a reali disastri che perdurano decine di anni dopo gli episodi scatenanti.
Le responsabilità degli imputati dei casi Eternit, ad esempio, sono state “prescritte” perché la fabbrica è stata chiusa da più di 20 anni. E poco importa se si continua a morire per mesotelioma accanto al sito che ospitava la fabbrica o nelle zone dove i diffusissimi tetti in fibrocemento-amianto, ormai piuttosto obsoleti, rilasciano progressivamente le invisibili e silenziose fibre killer.
Siamo disarmati. La magistratura ha in mano qualche sanzione amministrativa e tempi di prescrizione ridicoli. Più o meno come chi voglia bloccare un’inondazione con una bacinella.
Mentre il sacrosanto principio di “chi inquina paghi” (sia nel senso di risarcire i le comunità e i territori devastati, sia nel senso di affrontare davanti alla legge le proprie responsabilità) è totalmente disatteso, una legge via via indebolita nel percorso parlamentare (ma comunque migliore dell’attuale nulla) è ferma in Senato nell’attesa che le pressioni delle solite lobby, a discapito dei cittadini, abbiano sempre e comunque la precedenza.
Lungi dall’affrontare di petto la situazione, l’attuale esecutivo ha già dimostrato di sapersi agilmente “inchinare” ai soliti potenti (basti pensare alle trivelle o alle autostrade) a discapito di salute, cittadini, territori e sviluppo economico duraturo.
Tanto per fare un esempio molto attuale, sarebbe gravissimo se questo atteggiamento si riproponesse anche con l’ennesimo decreto salva-Ilva, annunciato ma in realtà ancora da scrivere: se cioè nel nome del salvataggio dell’Ilva si alleggerisse, annacquasse o ritardasse l’urgenza di un vero, integrale risanamento ambientale del polo industriale Tarantino che da decenni, prima pubblico e poi privato, avvelena lavoratori e cittadini.
Sarebbe l’ennesima resa ai potenti, proprio attorno all’ILVA e a un territorio martoriato, per la quale l’UE ha già aperto una formale procedura di infrazione che rischia di condurre ad una sorte simile a quella del disastro dei rifiuti in Campania (che, oltretutto, ha portato a una condanna della UE da 40 milioni di euro ogni sei mesi fino alla soluzione della vicenda e al blocco di decine di milioni di euro che dovevano andare a finanziare bonifiche e raccolta differenziata, proprio in quelle zone).
Nell’impossibilità della magistratura di essere realmente incisiva e decisiva nelle drammatiche vicende citate, è piuttosto evidente quanto, ancora una volta, l’Italia tradisca, con attuazioni scarse e poco incisive, i principi delle direttive europee in materia ambientale.
È del lontano 2008, infatti, la direttiva (2008/99/UE) che impone agli Stati Membri l’inclusione dei reati ambientali nel codice penale.
Come Green Italia Verdi Europei abbiamo lanciato, al fine di smuovere l’opinione pubblica e i legislatori sulla centralità ed urgenza del problema, una petizione “in nome del popolo inquinato”.
Legambiente e don Ciotti ne hanno lanciata, più recentemente, una seconda.
È nostra intenzione non mollare la presa e costruire una legge di iniziativa popolare che possa finalmente ripristinare l’ordine delle priorità di governo di questo Paese.
Prima la vita, prima la giustizia. Poi, forse, tutto il resto.