In queste settimane, si è riaperto in Campania il dibattito sul tema dell’acqua, alla luce della recente Legge regionale n.15/2015 che riordina il Servizio Idrico Integrato (SII) e istituisce l’Ente Idrico della Campania (EIC). La legge, che all’art. 21 ammette l’opzione dell’affidamento del servizio idrico ai privati attraverso operazioni di fusione e la procedura di gara ad evidenza pubblica, disattende palesemente l’esito referendario del 2011 con cui 27 milioni di Italiani si sono espressi a favore della gestione pubblica del servizio, riconoscendo l’acqua come bene comune.
Ciò che è altrettanto palese, però, è che la Legge regionale altro non fa che tradurre, sul territorio campano, la “visione” che ha ispirato lo Sblocca Italia: la competitività del sistema Paese si raggiunge attraverso un uso efficace, efficiente ed economico delle sue risorse naturali e, dal momento che l’Italia soffre un grave ritardo di sviluppo, si è reso necessario l’intervento ordinatorio del livello nazionale in materia di trivellazioni, inceneritori e gestori unici per il servizio idrico.
Ora, è opportuno provare a “disambiguare” queste formulette cui la narrativa dominante, orwelliana per certi versi, ricorre oramai da qualche decennio. La competizione tra operatori economici non coincide con lo sviluppo delle comunità, specie perché parliamo di multiutility; l’uso efficace, efficiente ed economico delle risorse naturali attiene alla sfera dei “criteri” di gestione, quindi non è una qualità di specifici soggetti gestori; l’intento ordinatorio e, soprattutto, “concessorio” in materia di interventi che impattano direttamente le comunità è una vanità antidemocratica, perché le comunità sono custodi delle risorse naturali del proprio territorio e le amministrano attraverso i propri rappresentanti istituzionali, in primis i Sindaci.
Ma il punto vero è quello messo in luce da Padre Alex Zanotelli, nel corso del lungo intervento che ha tenuto a Montella la settimana scorsa, quando ha tracciato la linea che separa il campo dei diritti da quello del mercato. Se senza l’acqua non può esserci la vita, il diritto all’acqua è il primo dei diritti umani, perché senza quello è impossibile esercitarne di altri. E allora, se siamo nel campo dei diritti, non siamo nel campo del mercato. Le due cose, insieme, davvero non si tengono, perché se ammettessimo che possa essere mercificato un diritto, allora potremmo immaginare possibile che qualche soggetto possa trarre profitto dal diritto di ciascuno di noi “a manifestare liberamente il proprio pensiero” ad esempio.
Eppure il rischio di vedere monetizzati i nostri diritti e di pagare al privato la quota di profitto perché ce li eroga è molto più avanzato di quanto si evinca dalle cronache dei giornali, in questa stagione di mediatizzazione della politica. La riflessione investe e supera il tentativo di aggregazione tra ACS spa e Gesesa, e quindi ACEA, che si sta consumando nel distretto Irpinia Sannio, peraltro senza alcun mandato dei Sindaci, così come investe e supera la stessa Legge regionale n.15/2015 che non tiene conto della volontà referendaria ed esautora, di fatto, gli amministratori locali, e quindi le comunità, dai processi decisionali attraverso l’attribuzione di tali funzioni al ristretto Comitato Esecutivo dell’EIC. Ad essere centrale è, invece, il rapporto che intratteniamo con le risorse naturali dei territori in cui viviamo, e più in generale il rapporto che intratteniamo con la democrazia e con la libertà di decidere del nostro futuro.
Per tali motivi, molti di noi hanno sentito l’urgenza di riunirsi a prescindere dalle appartenenze e di aprire un percorso di impegno civico, prima di tutto. Abbiamo lavorato come Coordinamento Irpino per l’Acqua Pubblica intorno ad una carta di intenti che è possibile sottoscrivere a questo link.
E’ un appello che non chiama alla partecipazione solo le comunità campane, affinché lo accompagnino con generosità e lo replichino sul territorio regionale, ma chiede a ciascuno di noi, da Trento a Siracusa, di tutelare i beni comuni di cui siamo custodi riaffermando per questa via che la sovranità appartiene al popolo, come recita una carta a cui ogni tanto fa ancora bene richiamarsi.