Gagliole è un piccolo gioiello tra le colline maceratesi. La sua torre fu innalzata per la difendere il territorio della Guelfa Camerino dalla Ghibellina San Severino.
Dalla sua posizione infatti si vedono i monti della Laga e i Sibillini da una parte, il monte Catria dall’altra.
Le Marche intere ti abbracciano, a Gagliole.
Da quella stessa torre nel ’44 un ragazzo armato vide entrare un soldato tedesco in cerca di pane. Per ingenuità, rabbia o paura, sparò due due colpi e lo uccise suo colpo.
Il giorno dopo puntuale arrivò la rappresaglia nazista. Vennero presi tutti quelli che riuscirono a trovare: uomini, donne e bambini messi in fila davanti al muro che mi trovo davanti mentre mi raccontano l’episodio. Un attimo prima che arrivasse l’ordine di sparare, dal balcone dietro di me si affacciò un uomo che urlò: “Ehi!”
Il tedesco si girò, lo guardò ed esclamò: “Professor!”
L’uomo sul balcone era Rodolfo Botacchiari, insigne germanista e, il caso volle, stimatissimo insegnante del comandate nazista, che di fronte al suo sguardo non se la sentì di proseguire con l’esecuzione e diede ordine di lasciare liberi tutti.
Guardo con la pelle d’oca la storia che parla da quei muri.
Quei muri oggi feriti a morte, ridotti a crepe e macerie.
Quei muri che da quasi un anno attendono che qualcuno si faccia vivo, offra delle risposte, un progetto, una speranza di rinascita.
Abbandono. È una parola che prima o poi ripetono tutti. Di 600 anime più della metà se ne sono andate. Chi è rimasto ha comunque perso tutto.
Sonia è di Casablanca e vive a Gagliole da molto tempo, con il marito e il figlio di 16 anni. È stata a lungo nel dormitorio. 40 persone per mesi ammassati in una struttura che aveva un solo bagno per tutti e le coperte cosi impregnate di canfora da irritare il volto e intossicare il respiro. Ora sta meglio, dice. Da qualche mese vive in roulotte.
In roulotte, da mesi. Con la neve e con il caldo disumano. Ma sta meglio, dice.
Dice che hanno ricevuto tanta solidarietà.
Tanta solidarietà, specifica, dai privati; ricorda molti aiuti anche da Senigallia. Ricorda tanta generosità, ma anche tanta cattiveria.
Perché il terremoto è così: tira fuori il meglio e il peggio. E temo che più la situazione continuerà in questo immobilismo, più sarà il peggio ad emergere con sempre più forza.
Il centro storico è tutta zona rossa, è spettrale e ogni nostro passo echeggia nella vallata.
Incontriamo un ex sindaco e un’ex segretaria comunale che saranno le nostre fondamentali guide per tutto il viaggio.
Scendiamo nella parte bassa del Comune, dove 5 palazzine di seguito, costruite in blocco sono da radere al suolo, a differenza di quelle costruite vicine.
Tra gli sfollati delle palazzine c’è una farmacia, l’unica attività rimasta aperta, insieme al bar, ora in ferie. Per mesi ha condiviso una stanza di 12 mq insieme al bar e da marzo si è trasferita in un modulo in legno prefabbricato donato al comune.
La farmacista racconta che le sembra di vivere nel deserto e che i pochi clienti che passano vengono in molti casi ad acquistare psicofarmaci. L’aumento delle vendite di psicofarmaci, tranquillanti e antidepressivi di ogni genere è aumentato vertiginosamente.
Le crepe che un terremoto lascia non sono solo nei muri, sono negli animi e nelle menti di chi lo ha vissuto e non ti abbandonano, qualsiasi età e carattere tu abbia. E’ una forma di terremoto invisibile, ma ancora più distruttivo.
Nel pomeriggio salutiamo Gagliole e procediamo verso Muccia, il cuore della scossa devastante del 30 ottobre.
Muccia è completamente lesionata. Edifici crollati o tagliati a metà come fossero di burro.
Un container è la sede del Coc.
Come ogni giorno da un anno sono presenti e al lavoro il Sindaco e il responsabile dell’ufficio tecnico.
Ci spiegano che è tutto troppo lento, troppo complicato, senza risposte adeguate.
Il paragone con il terremoto che colpì quelle zone nel 1997 (quello di Assisi) è impietoso. Vero è che ora l’estensione del cratere e il livello di difficoltà sono maggiori, ma dopo un anno l’assenza di risposte e di decisioni non trovano più giustificazioni.
Bisognerebbe fare un encomio a questi sindaci e funzionari. Persone che hanno perso tutto ma che devono dare risposte che spesso non hanno e prendere decisioni che, ne sono certi, prima o poi li porterà al cospetto di qualche procura, perchè troppe sono le firme da porre, senza avere tempo nè modo di indugiare.
Sono persone che da un anno non conoscono riposo, ma conoscono a memoria ogni decreto, ogni circolare, ogni nota che viene emanata. Hanno un intero faldone denominato “Deroghe”, che può dare un’idea della complessità di orientarsi in un oceano di disposizioni spesso discordanti tra loro.
Di cosa c’è bisogno? Di soldi.
Soldi e risposte.
Inutile girarci intorno. Ci sono gli stanziamenti, ma sulla carta. Per alcune spese viene chiesta la quietanza. “E con cosa la dovremmo pagare, noi, la fattura?” Mi chiedono con un sorriso amaro.
Le SAE, le sistemazioni abitative d’emergenza, le cd “casette” sono in arrivo. Intanto loro si sono portati avanti e le hanno assegnate. Il sindaco conosce tutti, così è riuscito ad assegnarle tenendo conto anche dei rapporti di vicinato, di famiglia, di amicizia pregressi, in modo da provare a ricompattare il tessuto sociale, importante tanto quello edilizio e economico.
Ogni casetta è stata assegnata e nessuno si è lamentato della sistemazione che gli è stata assegnata. Ora aspettiamo che diventino realtà.
Le SAE sono realtà invece a Pieve Torina, dove si stanno ultimando i primi blocchi e la consegna è prevista per la fine del mese, così come sono prossime a essere consegnate 10 abitazioni a Fiastra, già arredate e con i fiori nelle aiuole.
Piccoli segni di vita che prova a riprendersi, dietro al quale c’è tanto lavoro silenzioso di amministratori sconosciuti alle cronache e agli alti apparati dello Stato, c’è tanto dolore e tanta fatica.
Ma, tra queste poche gocce di ripresa, l’oceano di devastazione, immobilismo e senso di abbandono è lacerante.
E lacerante è non poter dare risposte, se non la promessa di fare il possibile per dare a questi territori voce e rappresentanza.
Alcune delle popolazioni colpite dal sisma hanno già fatto sapere di non volere passerelle e politici il 24 agosto, in occasione dell’anniversario della prima scossa, troppe sono state le parole spese a vuoto e le promesse non mantenute. Troppo è il dolore e la solitudine che hanno vissuto in quest’anno.
Una richiesta che va rispettata, con tante scuse e altrettanti fatti.
Saluto Lucia, la ragazza grazie alla quale ho potuto fare questa tappa del viaggio, che mi fa una proposta.
Organizzare nei prossimi un simposio di intelligenze a Gagliole.
Non solo architetti o esperti di ricostruzione. Un simposio che veda la partecipazione anche di intellettuali, di sociologi, di storici, di artisti, per ricostruire una “comunità esistenziale”, per riprendere a Gagliole quel progetto, forse utopistico, ma sicuramente affascinante, che fu il “Progetto Arcevia” negli anni ’70, che vide la collaborazione, tra gli altri, di personalità del del calibro di Burri, Antonioni, Tonino Guerra uniti per studiare come contrastare l’abbandono di quelle terre.
Un sogno per lanciare il cuore oltre la zona rossa, per dare a Gagliole una possibilità e magari farne un modello, per non rassegnarsi all’abbandono, per scorgere, anche nella devastazione, un’opportunità, prima che ricchi capitali italiani o esteri ne vedano un business, modificando irreversibilmente questo territorio ricco di storia, di arte, di lavoro contadino.
E mentre torno a casa guidando tra vigneti e colline di terra arata, penso che forse, dopo tanto buio e tante macerie crollate a terra, volare alto potrebbe essere la scelta giusta.